Condividi con

FacebookMySpaceTwitterGoogle BookmarksLinkedinPinterest

Chi c'è online

Abbiamo 665 visitatori e nessun utente online

Spettacolo, cinema, arte e cultura

0 1 1 1 1 1 1 1 1 1 1 Valutazione 0.00 (0 Voti)

Domenica 21 ottobre, cerimonia di premiazione della settima edizione del concorso letterario
In 7 anni, valutati quasi 1000 racconti e scritte 6 milioni di parole per raccontare i Monti Dauni

ALBERONA – Si terrà nella Sala Auditorium della Terrazza Panoramica di Alberona, domenica 21 ottobre alle ore 20, la cerimonia finale della settima edizione del “Premio Lupo”, concorso letterario dedicato ai Monti Dauni e sostenuto da Regione Puglia, Provincia di Foggia e dalle Amministrazioni comunali di Alberona, Bovino, Castelluccio Valmaggiore, Celle San Vito, Faeto e Roseto Valfortore. La cerimonia sarà preceduta, alle ore 18, dalla presentazione dell’opera letteraria “Dentro”, di Sandro Bonvissuto. Complessivamente, in queste prime sette edizioni, le giurie del “Premio Lupo” hanno valutato quasi 1000 racconti, un totale di circa 6 milioni di parole per raccontare i Monti Dauni, l’unicità e la magia di questo lembo di terra verde posto nel cuore della provincia foggiana. Il concorso ha registrato un successo crescente: al suo esordio, nel 2006, furono 37 i partecipanti, l’anno dopo 43 e quello successivo 60, nel 2009 (83) e nel 2010 (104) il premio non ha smesso di crescere, fino a registrare le partecipazioni record del 2011 e del 2012, quando il concorso è stato ampliato con nuove sezioni, tra cui quelle dedicate agli status di Facebook e alle opere letterarie realizzate nelle carceri. Il concorso ideato sette anni fa ha un duplice obiettivo: valorizzare il patrimonio di storia e cultura rappresentato dai comuni dei Monti Dauni; dare un’opportunità al talento. Le storie del “Lupo”, i suoi racconti, hanno il pregio di navigare con le parole tra i colori e le onde emotive suscitate dal paesaggio umano e ambientale dei Monti Dauni. Il premio richiama la figura del lupo per i significati che essa rappresenta: l’immagine austera di un’animale che oggi recupera gli spazi da cui era stato scacciato. Allo stesso modo, le comunità dei Monti Dauni intendono riappropriarsi della propria storia. Il progetto prende vita dall'esigenza di una popolazione che avverte la necessità di un riscatto morale, culturale e sociale. I Monti Dauni sono un’area che conta 30 comuni (con Lucera), 140mila abitanti, oltre 500 tra chiese, siti d’interesse comunitario e musei etnografici, 8 paesi certificati con marchi di qualità turistico- ambientali. Insieme, i borghi dei Monti Dauni forniscono i due terzi dell’energia da fonti rinnovabili prodotta dall’intera Puglia. Un terzo del polmone verde pugliese è sulle alture dell’Appennino Dauno. I fiumi, i laghi, le riserve faunistiche dell’area rappresentano un unicum ambientale, un vero e proprio giacimento di biodiversità. E’ qui che si trova il paese meno popoloso della Puglia, Celle di San Vito, che conta 186 abitanti. Ed è sempre qui la vetta più alta della regione, il Monte Cornacchia. In questo ampio fazzoletto di terra, pari al 10 per cento dell’intera superficie regionale, albergano le specie animali e vegetali più selvatiche e preziose: il lupo, il cinghiale, la volpe, il falco popolano aree boschive ricche di sorgenti, funghi, tartufi, erbe spontanee e officinali, un immenso patrimonio di ambiente e cultura.

Info: premiolupo.com

comunicato stampa, venerdì 19 ottobre 2012

0 1 1 1 1 1 1 1 1 1 1 Valutazione 0.00 (0 Voti)
0 1 1 1 1 1 1 1 1 1 1 Valutazione 0.00 (0 Voti)

Prestigiosa affermazione a livello nazionale della Compagnia teatrale foggiana Enarché, che da oltre dieci anni allestisce le sue stagioni teatrali presso il Teatro Regio di Capitanata di Foggia (a Foggia, in via Guglielmi, 8, c/o la Chiesa della Madonna del Rosario). Nei giorni scorsi la compagnia Enarché ha vinto il Premio FITALIA 2012 "Miglior foto di scena" con la foto di Alessandro Forcelli (fotoamatore del Foto Cine Club Foggia BFI).

Il Premio è stato consegnato al presidente della Compagnia, Carlo Bonfitto, in occasione della XXV Festa del Teatro organizzata a Bisceglie dalla FITA (Federazione Italiana Teatro Amatoriale), Federazione che conta oltre 1.300 compagnie associate e della quale lo stesso Carlo Bonfitto è di recente stato riconfermato delegato per la provincia di Foggia.

La fotografia è stata scattata nel corso della messinscena E ije che me vuleve curà i nirve da Alessandro Forcelli, socio del Foto Cine Club Foggia BFI, sodalizio culturale foggiano che da diversi anni mantiene una fitta collaborazione con la Compagnia Enarché.

Ecco la motivazione del premio espressa dalla giuria tecnica presieduta dall'avv. Carmelo Pace:

La foto vincitrice incornicia l'azione in medias res, attraverso una selezione dell'occhio fotografico che individua con nitidezza dell'immagine e chiara composizione i personaggi in una scena carica di dinamismo fisico-emozionale, lasciando così una fotografia che è traccia evidente e simbolo forte dello spettacolo di cui il fotografo è stato spettatore privilegiato.

Infine si rileva la capacità fotografica nella gestione della luce che mette chiaramente in evidenza gli attori e testimonia fedelmente le luci in scena, considerato l'elevato compito del fotografo nel documentare e interpretare il lavoro teatrale trasmettendo così l'azione scenica con le sue emozioni, senza alterare ciò che la luce scelta ha voluto raccontare assieme ai protagonisti dello spettacolo.

 

0 1 1 1 1 1 1 1 1 1 1 Valutazione 0.00 (0 Voti)
0 1 1 1 1 1 1 1 1 1 1 Valutazione 0.00 (0 Voti)

Sono già cominciati i preparativi per l’antichissima ricorrenza che si celebra il 1° novembre
Fuochi in ogni angolo del paese illuminato dalle fiamme e dal bagliore delle zucche lanterna
Niente a che vedere con il “dolcetto o scherzetto”, i significati sono profondamente diversi

ORSARA DI PUGLIA (Fg). Sono già cominciati, a Orsara di Puglia, i preparativi per l’organizzazione dei “Fucacoste e cocce priatorje”, la notte dei falò e delle teste del purgatorio che si celebrerà giovedì 1 novembre. In paese, come accade da ormai molti anni, è atteso l’arrivo di migliaia di persone da tutta Italia per partecipare a uno degli eventi religiosi e popolari più antichi e suggestivi del Mezzogiorno. La notte del primo giorno di novembre è quella che gli orsaresi, da tempo immemore, dedicano con particolare devozione alla ricorrenza di Ognissanti e al culto dei morti. Da lontano, nel momento in cui cominciano a scintillare i falò preparati in ogni angolo del borgo, Orsara sembra prendere fuoco, illuminata dalle fiamme che riscaldano l’atmosfera donandole incanto e magia. Il fuoco, la condivisione del cibo, gli spettacoli folk e le performance degli artisti di strada sono solo alcuni degli elementi che fanno di questo evento uno dei più attesi dell’anno. L’evento, come sempre, comincerà dal mattino con l’attivazione dell’Infopoint a disposizione dei visitatori e le visite guidate. Per goderne appieno il significato e le mille suggestioni, viverne l'attesa, il fermento e la preparazione, l'ideale è arrivare in paese molto prima dell’accensione dei falò: questo permette anche di agevolare il compito dei volontari e delle forze dell’ordine impegnate a dare indicazioni e a regolare il flusso e la sistemazione delle automobili nelle aree di parcheggio.  Qui, nel cuore verde della provincia di Foggia, la notte a cavallo tra il giorno di Ognissanti e quello dedicato al culto dei morti si accende alla luce dei falò e al bagliore dei lumi posizionati all’interno delle zucche antropomorfe. Non si tratta di Halloween (che peraltro si festeggia il 31 ottobre, ndr), ma di un evento che mette in evidenza l’illuminazione della fede, il ricordo dei defunti, il gusto genuino di stare insieme condividendo un momento di comunione caratterizzato dal legame rispettoso e autentico tra il mondo dei vivi e quello di quanti vivono nella nostra memoria. La notte dei Fucacoste è quella che va dalla sera del 1°novembre all’alba del giorno seguente. Molti si confondono, immaginando si tratti di Halloween, niente di più sbagliato. Sono diverse le date e differenti significati: a Orsara non si celebrano né il rito consumistico del “dolcetto o scherzetto” né la notte delle tenebre, ma un evento caratterizzato dalla luce e dalla condivisione di un sentimento di rispetto e devozione per i defunti. Nei giorni che precedono la ricorrenza, Orsara di Puglia vibra al ritmo di una crescente frenesia. L’attesa e la preparazione all’evento sono vissute in ogni casa da tutti i componenti delle famiglie. La preparazione delle “cocce priatorije” è solo una delle incombenze da assolvere: affinché tutto sia perfetto, come vuole la tradizione, occorre accatastare per tempo il legname necessario a preparare il falò. E poi non bisogna dimenticare vino, carne, pane, patate e dolci tipici, cioè tutte le pietanze e gli ingredienti che saranno consumati nella notte del 1° novembre, quando in ogni stradina del borgo si terrà un banchetto a base di piatti “poveri” ma gustosi e in tutto il paese saranno esposte centinaia di zucche lavorate in modo creativo e illuminate al loro interno.


comunicato stampa, mercoledì 17 ottobre 2012


Info: http://www.comune.orsaradipuglia.fg.it/moduli/banner_target_page.php?idbanner=5
Approfondimenti: http://orsaradipuglia.blogspot.it/search/label/La%20notte%20dei%20fuochi

0 1 1 1 1 1 1 1 1 1 1 Valutazione 0.00 (0 Voti)
0 1 1 1 1 1 1 1 1 1 1 Valutazione 0.00 (0 Voti)

Nemo me lacrumis decoret, nec funera fletu faxit. Cur? Volito vivus per ora virorum(virum)
(Nessuno mi onori con lacrime, né accompagni il mio funerale col pianto. Perché? Perché vivo, vado per le bocche degli uomini).

Autoepitaffio di Ennio: Cicerone, Tusculanae, I, 34;   
De senectute,73


Vi è un luogo in Capitanata, dove la sera del 1° novembre, col calare delle tenebre, si accendono i fuochi in onore dei defunti: è Orsara di Puglia, paese di 3500 anime, situato sui primi contrafforti del preappennino appulo-campano. Da tempi remoti questa tradizione si rinnova intatta, a volte più sentita, a volte silenziosa, ma sempre con le stesse peculiarità: fuoco e culto dei morti si fondono in un binomio inscindibile da tempo immemorabile. Ultimamente è cresciuta l’attenzione verso questa manifestazione, prima in ambito provinciale, successivamente in ambito regionale con qualche curiosità a livello extraregionale. Non sono fuochi che si accendono per risvegliare qualche atavico istinto primordiale né si vuol cercare di imitare qualche festività venuta d’oltreoceano, facendo un viaggio a ritroso. Con Hallowen Orsara non ha alcun punto di contatto: è esattamente l’opposto di quello  che  i  mass  media  ormai  vogliono  propinare  per  quel  suo  carattere  commerciale  e consumistico che ha assunto in terra d’America. Quindici giorni prima della festa d’ognissanti, adulti, ragazzi e bambini fanno a gara nell’accatastare ginestre e altra legna. Un elemento caratterizzante del falò è rappresentato dalla ginestra, arbusto che cresce abbondante sui pendii dei nostri monti e delle nostre colline. Il crepitio di questi arbusti risuona per tutte le strade e le faville arrivano in alto ad illuminare questa notte di ricordi, d’amore ma anche d’ataviche paure che il tempo non ha cancellato. Il fuoco è l’elemento magico; il suo calore e il suo bagliore, come un tempo, rendono surreale l’atmosfera e per tutti è l’occasione per ricordare, per avvicinarsi all’aldilà. Solo in questo luogo i falò , “fucacoste”, si accendono la sera del primo novembre: per tutta la notte ardono numerosissimi falò, vicino alle abitazioni si appendono le zucche antropomorfe con una
candela accesa all’interno1 e le vecchiette, prima di andare a letto, prendono dal falò un po’ di brace e la portano in casa, deponendola nel camino o in un braciere. E’ convinzione che le anime dei defunti ritornando fra i vivi facciano visita ai parenti e ritornino alle dimore dove avevano vissuto, si riscaldino e continuino il loro peregrinare per tutta la notte. E’ dunque un atto di cortesia per i defunti, un gesto d’amore per queste anime che ritornano, ma è anche atavica paura per il regno ultramondano, quasi come se mancando al dovere dell’ospitalità o del calore familiare il defunto possa vendicarsi sui vivi. Altro elemento curioso era ed è la compartecipazione al fuoco: se non si provvede a farne uno proprio, si partecipa al rito mediante l’apporto di qualche fascina o d’alcuni tronchi a quello del vicino.
Perché i falò si accendono il primo novembre? Per quale motivo era portata in casa la brace? E perché  si  ponevano  vicino  alle  porte  le  zucche  con  volti  antropomorfi  (di  demoni  o  con  le sembianze dei cari estinti?).? Qualcuno ha tentato una ricostruzione fantasiosa senz’alcun aggancio alle tradizioni antiche ed alle manifestazioni dei nostri padri. Ancor più fantasiosa è l’accostamento ad Halloween, che non fa parte della nostra cultura, così come non ne fanno parte le varie forme di consumismo (calze, distribuzione di dolci, etc…).

1) Perché “fucacoste”? Il termine deriva direttamente  da due parole greche:Φλογεος (fiammante, ardente)   + ακουστος (udibile,   da   udirsi…),   e   sta   ad   indicare   un   fuoco   che   si   sente, schioppettante. E sono le  ginestre a far sentire il loro schioppettìo  mentre bruciano.
Secondo la credenza popolare la zucca accesa avrebbe fatto ritrovare al defunto la casa dove era vissuto, proprio come vedremo farà Demetra per far ritrovare la strada a Persefone.

E’ UNA TRADIZIONE MILLENARIA, NON E’…..HALLOWEEN


Ad Orsara, caso unico in Italia, la tradizione dei falò risale a tempi remoti: è una tradizione della civiltà contadina rimasta immutata nel tempo e che sempre si è celebrata nell’identica maniera, al limite tra il profano e il sacro. Nella preistoria l’uomo accendeva il fuoco con l’intento di riscaldare, purificare e tenere lontani gli spiriti del male. Anche oggi il fuoco ha le medesime peculiarità: si accende il fuoco per poter far ritrovare la via di casa alle anime del purgatorio e offrire loro un po’ del calore che il regno oltremondano non può più offrire; è calore umano, è calore fisico che i vivi intendono trasmettere alle anime dei propri cari.
Un tempo, quando in quest’angolo di mondo non vi era il fragore dei media ed il carattere profano era ancora vivo, si usava porre in una bacinella piena d’acqua dell’olio e sopra si poneva un treppiede con una lambada: alla fioca luce della candela si poteva assistere, secondo i vecchietti, alla sfilata delle anime del purgatorio. Per le strade risuonava il crepitio delle ginestre e in ogni angolo ardeva un fuoco. Elemento caratterizzante era la ginestra. Per quale motivo? La ginestra è un arbusto che cresce abbondantemente sui fianchi dei monti e delle colline orsaresi ed in più esso è profumato e si volatilizza facilmente, facendo sembrare che il legame cielo terra si compia sotto i nostri occhi. Tale era il senso del fuoco presso le popolazioni antiche che accompagnava sempre i
sacrifici2 .  Ad  Orsara  falò  e  culto  dei  morti  sono  un  binomio  inscindibile  che  non  trova riscontri in altre realtà.

2)  Enciclopedia Treccani Vol. XIV FRA-GIA,pp. 202-203: - I FUOCHI SACRI. Elemento insieme distruttore e benefico, il fuoco è oggetto a un tempo di timore e di venerazione, l’accenderlo diventa una cerimonia sacra e si ha grande cura di custodirne la purità, che molti popoli, specie dell’antichità, tengono continuamente acceso, affidandone la custodia a vergini, la cui castità è un obbligo rituale gelosamente osservato e vigilato. Basterà ricordare, a tale proposito, le Vestali romane; ma lo stesso costume si ritrova presso popolazioni diversissime…Il fuoco nuovamente acceso ha invece un carattere particolare, esprime spesso l’inizio di una vita nuova;mentre in molti casi è prescritto l’uso di fuoco tolto dal focolare domestico o addirittura da quello del villaggio o della patria. Ché il fuoco- e specie la sua accensione- implica un rapporto di comunione sacra. E, spesso, il fuoco che s’adopera per usi rituali deve essere acceso nella maniera tradizionale. Al carattere sacro del fuoco si riconnette anche l’uso di esso nelle cerimonie di iniziazione, al suo potere distruttore la capacità purificatrice che gli è attribuita presso vari popoli e di cui si può ritenere un’applicazione particolare l’ordalia che consiste nel camminare attraverso il fuoco acceso.…il fuoco è usato nei sacrifici al fine di volatilizzare le offerte per farle pervenire alle divinità, e spesso nelle cerimonie funebri dei popoli presso cui vige l’uso d’incenerire i cadaveri. Il carattere sacro del fuoco trova un’espressione più concreta nella venerazione di vere e proprie divinità del fuoco o del focolare, quali Estia in Grecia e Vesta in Roma. …-

ORIGINE MITOLOGICA

Ma  dove  e  quando  ebbe  origine  questo  culto?    Si  è  pensato  ai  Celti,  che  avevano  un  culto particolare per i defunti e celebravano l’avvento della stagione invernale con l’accensione i falò. I Celti,però, hanno solo raccolto un’eredità e, con qualche modifica, l’hanno fatta propria. Certe tradizioni non hanno patria e non sono attribuibili ad un popolo. Per cercare di capire l’origine del culto dei defunti e del fuoco ho fatto un viaggio a ritroso nel tempo. I risultati dell’indagine che mi hanno sorpreso e meglio mi hanno fatto capire il mistero di questo strano culto, che vede mescolarsi sacro e profano in un evento che si perpetua da secoli sempre con le stesse caratteristiche. La tradizione dei falò e del culto delle anime dei defunti non è nata oggi né appartiene ad un popolo.
Le sue origini vanno collocate nell’area mediterranea ed in quella orientale.

LA MORTE E IL FUOCO NEI MITI

Fu proprio dall’area mesopotamica che con i Sumeri ebbe grande risalto il mito di Inanna e Dumuzi3 .  Esso è un riferimento preciso al ciclo naturalistico vegetativo, personificato dalla dea Inanna,  che  rispecchia  la  cessazione  della  fertilità.  Presso  gli  Assiri  lo  si  rinviene  identico; cambiano i nomi delle divinità e le finalità del viaggio”4 .  Il mito  venne, per quella naturale osmosi, assorbito dai Fenici: Ishtar divenne Astarte e Tammuz , Tammuz Adone5 ed ebbe carattere sacro e orgiastico. Presso i Fenici però già vi fu una sistemazione di quello che sarà il definitivo mito di Venere e Adone.”. . Presso gli Egizi il mito divenne di Iside e Osiride6 .  In Frigia   aveva come protagonisti Attis ( Tammuz Adone) e Cibele7 (Inanna,Astarte, Iside,Afrodite, Euridice). I Traci ne
3) “…Inanna va agli inferi , di cui è regina Ereskigal, sua sorella, per una visita. Durante la discesa le vengono sottratti abiti e gioielli. La sorella la trasforma in cadavere. Enki la salva. Inanna ritorna sulla terra in compagnia dei defunti e divinità infernali e vuole vendicarsi del dio Dumuzi che non aveva preso il lutto durante la sua dipartita. Dumuzi piange e prega il dio Utu di salvarlo…”. Il mito s’interrompe a questo punto.
4)  ..Ishtar discende agli inferi per liberare lo sposo Tamuz.
Per i Babilonesi Tammuz era lo sposo della grande dea Ishtar, che rappresentava l’energia riproduttrice della natura. ( Si narra che Tammuz fosse stato ucciso e che, per amor suo, Ishtar ogni  anno scendesse nel regno dei morti e per lunghi mesi soggiornasse “ nella terra dalla quale nessuno ritorna, nella casa delle tenebre, dove la polvere copre le porte e le serrature”). Durante l’assenza di Ishtar, la vita sulla terra rimaneva in sospeso finché la dea non fosse tornata nel mondo dei vivi. In inverno, nel mese che si chiamava appunto Tammuz, tutta la Mesopotamia era in lutto: erano vietati i matrimoni (come oggi) si celebravano cerimonie funebri nelle quali veniva cantata la triste sorte di Tammuz.
5 La dea Astarte era innamorata follemente di Adone, bellissimo giovane. Un giorno questi andò a caccia sui monti del Libano e fu ucciso da un cinghiale. Addolorata per la morte del suo amante Astante corse in lungo e in largo tutta la Fenicia. Alla fine decretò un periodo di lutto.Alla fine il pianto disperato della dea Astante fece resuscitare il suo sposo.
6  “Si narra che Iside, che era stata una prostituta a Tiro, amasse Osiride, il dio che prometteva la resurrezione dei defunti. Un giorno Osiride scomparve. Dopo averlo cercato per ogni dove Iside aveva finalmente trovato in mare il suo cadavere mutilato dai pesci, che lo avevano privato degli organi della riproduzione. Iside era riuscita, essendo una maga, a ridargli sia la vita che la capacità di generare. Per questo Osiride simboleggiò la rinascita dopo la morte e presso gli Egizi era il dio dei morti che attendevano, mercè il suo aiuto, di rinascere alla vita.
7) Attis era un giovane frigio di così straordinaria bellezza che la Gran Madre Cibele lo volle per isposo. Da principio egli corrispondeva all’amore di lei, ma poi le fu infedele e voleva sposarsi con la figlia del re di Pessinunte. Allora lo colpì la vendetta dell’adirata dea. Quando era apparecchiato il banchetto nuziale e tutti i convitati erano insieme radunati, essa penetrò tra loro e li riempì di  panico. Attis fuggì sui monti e in un eccesso di furore si uccise. Afflitta, la dea ordinò in onore di lui una cerimonia funebre da celebrarsi nell’equinozio di primavera. I coribanti fra urli selvaggi e strepitando coi tamburi e coi dischi, muovevano alla volta della montagna come per cercare Attis…
elaborarono  una variante. Orfeo era il miglior citaredo, prediletto da Apollo. Cantava così bene da smuovere col suo canto persino le pietre e da ammansire le bestie feroci. Sua sposa era Euridice8 . In Grecia il mito ebbe, in origine, per protagonisti Demetra e Kore (o Persefone) meglio conosciuto come il “Ratto di Persefone o Proserpina”9 . A Roma Demetra si identificò con Cerere e Persefone con Proserpina. In Grecia e successivamente a Roma si ebbe una variante dei miti sopra citati con l’assimilazione di quello asiatico. Noto era il mito di Afrodite e Adone10 in Grecia e di Venere e Adone a Roma11 ; Afrodite e Venere, che era un’antica deità italica della primavera, detta Anche Libitina (dea dei morti) si fusero in un’unica divinità. Né meravigli che la dea dell’amore e della bellezza lo fosse anche dei morti: nell’antica mitologia la vita più rigogliosa è messa in relazione con la morte. Tutto questo patrimonio di miti e culture varie pervenne ai freschi popoli del nord attraverso le vie dell’ambra12 e ancora una volta il mito fu sottoposto a modifiche suggerite dallo stato dei luoghi, dalle proprie tradizioni e dalle consuetudini.


Attis che muore e rinasce, come l’Adone del culto di Afrodite, simboleggia la natura che sorge a vita florida e rigogliosa e poi tosto appassisce e muore.

8) Essendo costei morta di una morte acerba, per essere stata morsa da una serpe egli la pianse in dolcissimi canti che commuovevano fin le pietre. Pensò di scendere agli inferi per vedere di riaverla. Il suo canto, che faceva spuntare le lagrime sul ciglio delle Erinni, commosse perfino il petto di bronzo del re delle ombre. Gli fu concesso che Euridice seguisse un’altra volta Orfeo nel regno della vita, a condizione che durante il tragitto non si volgesse indietro a guardare la sposa, pena la perdita inesorabile dell’amata. La sposa lo seguiva ed egli non seppe trattenersi dal voltarsi indietro per guardare l’amata: d’un tratto sparì. Tornato sulla terra Orfeo andò errante per le montagne della Tracia per dare sfogo al suo dolore e fu miseramente lacerato da uno stuolo di Baccanti (Baccanti o Lene[lenai], o Bassaridi, agitando tirsi(thirsus, asta con la punta ricoperta di pampani o di edera) e fiaccole; ricincendosi il corpo con serpi, tra una musica assordante di tamburelli e di flauti, facevano una processione rumorosa detta tiaso(thiasus), danzando e abbandonandosi a movimenti incomposti, quali suggeriva la sovreccitazione da cui erano invasate. Intanto cantavano inni a Dioniso, gridando Evoè e invocandolo con diversi epiteti, Bromo, Bacco, Iacco, Iobacco, ecc. e laceravano fiere nel bosco, cerbiatti, lumicini, capretti e ne mangiavano la carne sanguinosa. Era tutto ciò un ricordo e un simbolo dello scempio
che l’inverno fa di tutti i prodotti onde la terra si ammanta. Invece di primavera si festeggiava il ritorno di Dioniso con spargimento di fiori e lieti canti.

9) “ Un giorno Persefone (Kore o Proserpina) , in compagnia delle Oceanine, si trastullava in un verde prato. Era tutta intenta a cogliere i bei fiori   quando, allontanatasi dalle compagne e dalla madre per cogliere un bel narciso, all’improvviso si aprì la terra davanti a lei e ne venne fuori Ades(Plutone) sulla carrozza tirata da cavalli immortali. Non visto l’afferra e sprofonda nelle viscere della terra  per farne la sua sposa. Il padre degli dei, Zeus, era consenziente. Demetra aveva udito le grida della figlia ma non sapeva cosa fosse successo. Non ottenendo risposta ai suoi richiami cominciò a cercarla dappertutto, e, accese fiaccole, errò per nove giorni e nove notti per tutti i paesi della terra, cercando con sempre maggior ansia la figlia. Alla fine Elios(il sole) che tutto vede, le rivelò la verità non nascondendole che Giove ne era al corrente. Demetra corrucciata contro il re degli dei si appartò dall’Olimpo e andò a vivere in luoghi solitari immersa nel suo dolore. Nel frattempo cessava la fertilità della terra e una universale carestia minacciava il genere umano. Ai messi di Zeus ella giurò che non avrebbe ridonato fertilità alla terra  se non le fosse stata restituita l’amata figliuola. Alla fine Zeus mandò Ermes negli inferi per indurre Ades a restituire Persefone. Questa, però, aveva già gustato il melograno, simbolo d’amore, datogli da Ades e non poteva più ritornare definitivamente alla madre. Alla fine si convenne che   per due terzi dell’anno Persefone avrebbe vissuto sulla terra ad allietare della sua presenza la madre e il resto dell’anno l’avrebbe passato agli inferi col suo sposo e signore”. Chi non riconosce in Persefone  la personificazione  della vegetazione, figlia della terra che compare in primavera a rallegrare gli uomini e d’inverno scompare?
10) “ Si raccontava che il bellissimo Adone, del quale era innamorato Afrodite o Venere, morisse durante una battuta di caccia, ucciso da un cinghiale. Ella addoloratissima , pregò Zeus di richiamarlo in vita; intanto se n’era invaghita anche
Persefone, dea dei morti, e non voleva renderlo alla rivale.Alla fine Zeus sentenziò che per una parte dell’anno Adone
rimanesse nel regno delle ombre, e nel resto dell’anno tornasse tra i vivi.La bestia setolosa che uccide Adone non è altri che un simbolo dell’inverno, il cui freddo soffio fa spegnere la vita della natura e Adone è la natura stessa che riprende vigore al ritorno della primavera.
11) LE VIE DELL’AMBRA
(E. Cantarella-G. Guidorizzi: Lo studio della storia –Dalle origini al XIV secolo, p. 74)

LE VIE DELL’AMBRA


L’ambra gialla è una resina fossile reperibile principalmente nell’Europa settentrionale: i giacimenti più ricchi si trovano nella penisola danese dello Jutland e sulle coste meridionali del Baltico, nell’odierna Polonia. A partire dal III millennio a.C. l’ambra nordica fu molto ricercata e il suo uso si diffuse in tutta Europa; la massima intensità di questi rapporti commerciali tra l’Europa Settentrionale e il Mediterraneo venne raggiunto in epoca micenea, nella seconda metà del II millennio a.C.; in Grecia, ancora nell’età classica, l’ambra veniva riservata al culto di Zeus e adoperata per le sue presunte virtù terapeutiche e medicinali, come testimonia anche Erodoto. I gioielli d’ambra erano ricercatissimi nel mondo romano come si attesta Plinio il vecchio, che ricorda l’ambra nella sua Naturalis Historia”, insieme al cristallo e alla mirra. L’ambra giungeva nel Mediterraneo seguendo le coste settentrionali e occidentali della Francia, oppure lungo i fiumi dell’Europa centrale fino a raggiungere l’Adriatico. La Germania era uno dei   crocevia più importanti di questo commercio. Proprio in questo risiede la grande importanza delle “Vie dell’ambra”: nell’aver istituito per la prima volta dei percorsi commerciali che mettessero in comunicazione l’Europa del Nord con il Mediterraneo e nell’aver così creato i presupposti  per scambi sia commerciali che culturali, come vedremo avverrà anche per l’osmosi religiosa. Fu durante questi scambi commerciali che il mito di Inanna e Dumuzi fu conosciuto dalle popolazioni nordiche già  dal II millennio a.C. I popoli nordici lo fecero proprio con delle varianti dettate dallo stato dei luoghi.

IL CULTO DEI DEFUNTI PRESSO GLI ANTICHI I GRECI
In  Grecia  oltre  al  culto  privato  la  commemorazione  collettiva  di  tutti  i  defunti  della  Πολισ
(Polìs) si  celebrava  ogni  anno,  in  un  giorno  fisso,  che  si  chiamava  ΝΕΧΥΣΙΑ13 (Sacrifici  ai defunti).I familiari si recavano alla tomba del defunto e, oltre ad accendere il sacro fuoco, portavano
libagioni rituali fatte di latte e miele e vi deponevano focacce e vivande.  Ancor più sorprendente era la festa dei fiori( le Antesterie) che si celebravano nel mese di Antesterione ( Febbraio-marzo) e duravano tre giorni. Il terzo giorno era detto della PENTOLA perché si esponevano le pentole con legumi cotti che dovevano servire come offerta alle anime dei defunti le quali, secondo la credenza comune, quel giorno venivano sulla terra. Altrettanto diffuso in tutta la Grecia era il culto di Demetra e Persefone che aveva in Eleusi il vero centro. Qui si celebravano ogni anno le piccole e le grandi Eleusinie, feste in onore della dea. Le grandi Eleusinie avevano luogo nel mese di Boedromione(seconda metà di settembre) e alludevano alla discesa di Persefone agli inferi, ossia al rientrare della vegetazione nel letargo invernale. Il momento più bello della festa era la grande processione che aveva luogo il quinto giorno e che movendo da Atene si recava ad Eleusi. Chi vi partecipava, non meno di 30.000 persone, si cingeva la testa con corone di’ellera e mirto e, siccome uscivano da Atene sul far della sera, portavano fiaccole in mano, e così entravano in Eleusi nel
silenzio della notte e tra lo splendore di migliaia di fuochi.

I ROMANI


A Roma i defunti erano ricordati dal 13 al 22 febbraio, periodo della festività dei Parentalia. Si celebravano gli anniversari di tutti i morti della famiglia che culminavano nella Karista o Cara Cognatio del 22 febbraio in cui si riuniva tutta la famiglia per banchettare in onore dei parenti morti. A tale banchetto il defunto occupava un posto d’onore con una sedia vuota(Cathedra) davanti alla quale venivano poste le vivande che più gli erano piaciute in vita. I Romani distinguevano due tipi di spiriti: quelli benigni, o Lares, e quelli cattivi, o Lemures). I Lari non erano altro che le anime dei defunti, le anime virtuose che divenivano geni tutelari della casa dove avevano vissuto. I Lemures erano, invece, le anime cattive e per allontanarle vi era un rituale che si svolgeva il 9 maggio14 . Il culto di Demetra (Cerere) e Persefone (Proserpina)  si diffuse in tutto l’impero e rimase vivo fino agli inizi dell’ottavo secolo.

UN SAKARAKLUM DI CERERE IN CONTRADA CERVELLINO (Orsara di Puglia)

In Orsara ebbe come centro la contrada Cervellino, il cui nome altri non è che Ker Ouelium, Cerere presso la piccola palude15 . Da questa località, infatti provengono numerosi reperti archeologici: neolitici, dauni, greci, romani, medievali, etc…, che attestano in modo inequivocabile la diretta derivazione della ricorrenza dalle Eleusinie greche assorbite dalla civiltà dauna e poi da quella romana.

I CELTI

Questo patrimonio culturale e religioso venne assorbito dalle popolazioni nordiche prima attraverso la via dell’ambra, già menzionata, e si consolidò con la conquista delle gallie. I Romani oltre alle legioni portarono tutto il loro mondo e furono un potente veicolo di trasmissione della lingua, degli usi, delle tradizioni, della religiosità e della cultura latina. Questa osmosi fu totale ed anche i nostri antenati assorbirono qualcosa del loro mondo, come il termine “basia”16  di origine celtica. I celti a loro volta rielaborarono tutte le usanze e i miti dando nomi diversi ma non modificando la sostanza. Essi assorbirono tutto il patrimonio di miti e di credenze rielaborandolo. Essi scandirono i ritmi della loro vita basandosi sui cicli vitali. Celebravano quattro grandi feste annuali legate ai cicli della natura e alle sue stagioni: Samhain. Imbolc, Belthane e Lughanasad. Queste erano definite feste del fuoco” perché in queste occasioni avveniva l’accensione di un fuoco rituale. Samhain si festeggiava il primo novembre; essa segnava l’inizio dell’anno nel calendario celtico, era il momento di ringraziamento per il raccolto, segnava il tempo della fine dell’estate, il tempo della semina e l’inizio della metà oscura dell’anno. A Samhain si apriva la porta fra l’aldiquà e l’aldilà: gli spiriti degli antenati e degli dei entravano in contatto con il mondo terreno. Questa festa era una celebrazione che univa la paura della notte e degli spiriti all’allegria dei festeggiamenti per la fine del vecchio anno. La notte del 31 ottobre i Celti si riunivano nei boschi e sulle colline per la


13)   In quell’occasione il capofamiglia si alzava a mezzanotte e, lavatesi tre volte le mani in acqua dì fonte, si aggirava per la casa a piedi scalzi facendo schioccare le dita e mettendo in bocca fave nere in bocca che poi gettava dietro di sé ripetendo una formula di scongiuro. Si credeva che le ombre si fermassero a raccogliere quelle fave. Allora il capofamiglia ripeteva più volte un’altra formula con cui invitava le ombre a lasciare il suo tetto. Si attribuiva a questa venuta delle ombre le spaventose apparizioni di spettri e altri fenomeni paurosi.
15 N. Fiero, Le guerre sannitiche e l’Irpinia,

cerimonia dell’accensione del fuoco sacro e facevano sacrifici animali. Vestiti con maschere grottesche ritornavano al villaggio, facendosi luce con lanterne costituite da cipolle intagliate al cui interno erano poste le braci del fuoco sacro. Dopo questi riti festeggiavano per tre giorni mascherandosi con le pelli degli animali uccisi per spaventare gli spiriti.



IL RITO PAGANO E LA CHIESA

Durante il periodo della cristianizzazione la chiesa cercò di sradicare i culti pagani, ma l’impresa risultò alquanto ardua. Nella stessa Roma , ancora agli inizi del VII secolo, vi erano culti pagani persistenti, ed è , forse, la prova più significativa e certa della derivazione della tradizione orsarese dall’antico culto del mito di Demetra e Persefone. Un predicatore del XIII secolo, Giordano da Pisa o Rivalto, ce ne offre una testimonianza diretta parlando della   festa d’Ognissanti ( Giordano da Pisa o da Rivalto Pisa 1260- Piacenza 1311). “La festa di Tutti i Santi Noi si ti facciamo oggi la festa e la solennità di tutti i santi; e infra l’altre ragioni si è questa l’una, però che i pagani in Roma anticamente avevano fatto un tempio nel quale si facea onore e festa e solennità a tutti i demoni del Ninferno, però che in quel templo erano adunati gl’idoli di tutte le provincie; e quivi si era una dea, la quale e’ diceano ch’era la maggiore idea, e chiamavalla Cybele, e diceano ch’era madre di tutti gli altri idii. Credeano che fossero molti idii. Or fu in Roma uno santo Papa, ch’avea nome Bonifazio (Bonifacio IV papa dal 607 al 615 ); et allora uno imperatore cristiano e devoto a la ecclesia, ch’avea nome Focas ( imperatore   dell’impero romano d’Oriente dal 602 al 610). Allora il Papa adimandò di grazia allo ‘mperadore, che quello tempio (Pantheon) che i pagani di Roma anticamente avevano così ordinato a la reverenzia di tutti i demoni del Ninferno, e che ancora erano in Roma rimasi de’ pagani che ci facian reverenza e molto rio exemplo, glie dovesse consentire a spegner quella mala radice, e di consacrarlo a onore della Vergine Maria e di tutti i martiri: e però era chiamato Templum Martyrum, e poi si compiè a onore di tutti generalmente i santi; e lo ‘mperadore gliel consentì volentieri. Allora il Papa con lo ‘mperadore e co i chierici, con l’incensi e con tutti i fornimenti si consacrarono quella ecclesia, come detta è, a onore di tutti i santi di vita eterna: e questa è quella ecclesia, che oggidì la chiamano le genti Santa Maria Ritonda, et è in Roma”.

ROMA, 13 MAGGIO 609 d.C.: PRIMA FESTA DI TUTTI I SANTI

Bonifacio III nel tentativo di far perdere significato al rito pagano chiese ed ottenne dall’imperatore Foca il permesso di consacrare il Pantheon, il 13 maggio 609 d.C., alla Vergine Maria. A Roma ancora si lottava contro il paganesimo, figurarsi in periferia, cioè lontani dalla città di S. Pietro e in pieno territorio Longobardo, essendo Orsara vicinissima  al ducato longobardo di Benevento e trovandosi  proprio  sulla  linea  di  confine  tra  Longobardia  e  Romania,  quella  linea  detta  “il Limitone”.  Successivamente nell’835 Papa Gregorio III spostò la festa di Ognissanti, dedicata a tutti i santi del Paradiso, dal 13 maggio al 1° novembre. La chiesa sovrappose un’interpretazione cristiana ad una pratica di origine pagana.  Nel 998 S. Odilone di Cluny diede l’avvio a quella che sarà  una  nuova  e  longeva  tradizione.  Quell’anno,  infatti,  diede  disposizione  affinché  i  cenobi dipendenti celebrassero il rito dei defunti a partire dal Vespero del 1° novembre. Il giorno seguente era, invece, disposto che fosse commemorato con un’eucarestia offerta al Signore, “pro requie omnium  defunctorum”.  Lentamente  l’usanza  si  diffuse  ben  presto  in  tutta  l’Europa  cristiana, istituzionalizzata ed estesa a tutta la chiesa per opera di Papa Gregorio IV. Molto fecero anche i regnanti, che per assicurarsi l’appoggio del clero, cercarono di sovrapporre questa nuova ricorrenza all’antico culto pagano.


LA TRADIZIONE DEI FAL0’ E DELLE COCCE PRIATORJE OGGI


Oggi la ricorrenza si rinnova, tranne che per la parte consumistica, con le stesse caratteristiche di diversi secoli fa. La sera del prima novembre, all’imbrunire, in tutte le strade, in tutti gli slarghi, in tutte le piazze, ogni piccolo gruppo di famiglie o anche famiglie singole accendono il fuoco e oggi come ieri ognuno partecipa al falò con fascine o tronchi; oggi come ieri si intagliano le zucche, di origine asiatica e che i Romani conoscevano, coltivavano e utilizzavano17 per rappresentare le immagini dei defunti. La sera tutti si accostano al falò per parlare, per intrattenersi e consumare qualche patata, cipolla o, oggi, salsicce e bistecche. Tutti possono accostarsi a tutti i fuochi, senza alcuna discriminazione; il non accettare un nuovo venuto è sintomo di offesa grave alle anime dei defunti. Oggi come ieri le vecchiette portano in casa un po’ di brace per permettere alle anime dei defunti di riscaldarsi quando, dopo la mezzanotte, essi si aggirano alla ricerca dell’abitazione in cui erano stati da vivi. Davanti alle abitazioni le zucche incavate emanano una fioca luce ad indicare l’abitazione ai defunti. Anche oggi, come tantissimo tempo fa, nelle case si cuoce il grano( i legumi degli antichi greci e lo si condisce con il vincotto. Una componente caratteristica del   dolce dei
morti è il melograno (quello che Persefone aveva assaggiato) che sta a simboleggiare la fertilità e
l’abbondanza. Tutto questo altri non è che una ricorrenza che la chiesa ha saputo ricondurre nell’alveo della sacralità, ma le cui componenti profane restano evidenti. Una credenza che resiste tra le persone è la processione delle anime del purgatorio che sarebbe possibile vedere a mezzanotte ponendo alcune gocce d’olio in una bacinella d’acqua, alla luce di una candela. La manifestazione riscuote ogni anno sempre maggior successo, anche se alcune componenti del tutto estranee si stanno inserendo nella manifestazione, facendole perdere quel suo carattere mesto e allegro.

17 Apici, De re coquinaria, …Cucutiae…


LA “MUSCETAGLIA”

UN TIPICO DOLCE DEI MORTI

La “Muscetaglia” è un tipico dolce orsarese che si consuma il giorno dei morti. I suoi ingredienti fondamentali sono il grano cotto e il vincotto.
Presso i Greci, poiché il cereale veniva messo in acqua e lasciato a bagno, era denominato Tallias (Θαλλι′ας), che stava ad indicare il grano germogliato e la semenza e presso i Romani veniva indicato col nome di frumentum thallitum o thallium (grano tallito o tallio). Una volta che i chicchi  erano  abbastanza  gonfi  lo  si  cuoceva.  Esso  veniva  condito  col  vincotto,  denominato Μουστòς  (mosto, ma anche molle, moscio) in Grecia e musteum (mosto, moscio) a Roma. A questi ingredienti fondamentali si aggiungevano i semi di melograno, simbolo di fertilità. Il termine Θαλλι′ας (Tallias)  ha anche il senso di abbondanza, floridezza, prosperità e, in Erodoto, assume anche il significato di giuochi e di banchetto funebre. Questo sta ad indicare non solo un legame stretto della tradizione dei falò con il culto dei morti ma una derivazione diretta di questo particolare rituale dal mondo classico e in particolare dall’antica Grecia e dal mondo latino. Volendo semplificare potremmo  schematizzare semanticamente il termine “Muscitaglia”:


IN GRECIA: Μουστòσς + Θαλλι′ας =   ΜουστòσΘαλλι′α ς  ( per apocope       ΜουσΘαλλι′α)
Mustos + Tallia = Muscetaglia per apocope ( caduta di una sillaba alla fine del primo termine)

A  ROMA:    Musteum  + Thallliun (frumentum thallium) = Musthallia           Muscetaglia


L’indagine semantica del termine, non riscontrabile in altre realtà, è la riprova che l’origine di questa tradizione è molto antica e che tutto il folklore ad esso collegato è una diretta derivazione dell’insieme di credenze, miti e usanze che si celano sotto ricorrenze che la chiesa ha saputo magistralmente sovrapporre e veicolare verso l’ortodossia cristiana, ma non completamente cancellare.

Prof. Lepore

0 1 1 1 1 1 1 1 1 1 1 Valutazione 0.00 (0 Voti)
0 1 1 1 1 1 1 1 1 1 1 Valutazione 0.00 (0 Voti)

"Un importante passo in avanti nella diffusione della cultura e del nostro patrimonio museale che abbiamo sempre voluto rendere fruibile il più possibile. Attraverso questo progetto il nostro museo compie un ulteriore passo in avanti diventando un presidio culturale all´avanguardia nell´ambito del panorama dei percorsi tattili rivolti agli utenti non vedenti. Inoltre l´iniziativa ha un evidente scopo didattico poichè rivolta anche agli alunni delle nostre scuole". E´ quanto affermato dall´assessore provinciale alla Cultura, Billa Consiglio nel corso della conferenza stampa d´inaugurazione della prima visita tattile del percorso per non vedenti realizzato dall'associazione di promozione sociale "Il proteo" grazie al finanziamento del bando "Principi Attivi - Assessorato alle politiche giovanili e trasparenza sociale - Regione Puglia" in collaborazione con il Settore Bibliotecario e Museale e Assessorato alla Cultura della Provincia di Foggia e con l'Unione Ciechi di Foggia. L´evento, iniziato oggi, si concluderà il 20 ottobre. "Il Museo si è arricchito di carrelli tattili con le riproduzioni dei reperti sia zoologici che botanici, in tutte le sale dove le collezioni risultano essere non accessibili perchè chiuse in teche e vetrine. Sono state realizzate anche etichette e pannelli in braille e per ipovedenti che facilitano anche l'acquisizione di nozioni nelle sale espositive a cura della "Falvision" di Bari partner attivo del progetto", ha spiegato il dirigente provinciale Franco Mercurio. All´incontro con gli organi di informazione hanno inoltre preso parte Simona De Leo in rappresentanza dell´associazione 'Il proteo'; Luciano Pegorari in rappresentanza della 'Falvision' di Bari; il presidente dell´Unione Ciechi di Foggia, Michele Corcio. Il programma della settimana prevede attività completamente gratuite. Le iniziative mattutine - "Alla scoperta delle tracce degli animali" - sono rivolte alle scuole e prevedono visite guidate tattili al laboratorio. Nel pomeriggio, invece, si darà spazio alle associazioni di volontariato impegnate nel campo delle disabilità. Il museo sarà aperto gratuitamente a tutti coloro i quali vorranno visitarlo nei seguenti orari: la mattina dalle 9.00 alle 13.00 ed il pomeriggio dalle 16.00 alle 20.00. Venerdì 19 ottobre, alle 17.30, è in programma inoltre un incontro con Teresa Petruzzelli, autrice S.I.A.E. di scritture teatrali, cinematografiche, saggi e narrativa per ragazzi e adulti. Teresa Petruzzelli è un'educatrice teatrale e regista. Specializzata in Teatro e Disagio con persone disabili, e in particolare con pazienti psichiatrici, presiede l´associazione culturale "Spettaculanti". Ha pubblicato molteplici libri per molte case editrici locali e nazionali. L'incontro prevede la lettura animata di "Bimba&Orco" - la cui prima edizione è stata pubblicata da Lupo Editore, mentre nel 2011 "Falvision" editore ha curato l´edizione in lingua "Braille" - ed un´attività pratica sul testo con i disegni del libro. L'incontro è aperto a tutti, famiglie e bimbi di tutte le età. Per parteciparvi è necessario prenotarsi telefonando al Museo di Storia Naturale al numero 0881/663972. Potranno essere in tutto 60 i partecipanti all'iniziativa.



comunicato stampa

0 1 1 1 1 1 1 1 1 1 1 Valutazione 0.00 (0 Voti)