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Stato:

Italia

Regione:

Puglia

Provincia:

Foggia

Coordinate:

41°42′0″N 15°58′0″E/ 41.7°N 15.96667°E

Altitudine:

852m s.l.m.

Superficie:

242,80 km²

Abitanti:

13.243

 

Densità:

57 ab./km²

Frazioni:

Macchia (Marina di Monte Sant'Angelo), Ruggiano

Comuni contigui:

Cagnano Varano, Carpino, Manfredonia, Mattinata, San Giovanni Rotondo, San Marco in Lamis, Vico del Gargano, Vieste

CAP:

71037

Pref. telefonico:

0884

Nome abitanti:

Montesantangelesi

Santo patrono:

San Michele Arcangelo

Giorno festivo:

29 settembre

Monte Sant'Angelo è un comune italiano di 13.243 abitanti della provincia di Foggia, noto per il santuario di San Michele Arcangelo, meta di pellegrinaggi dei fedeli cristiani sin dal VI secolo. Fa parte del Parco Nazionale del Gargano e della Comunità Montana del Gargano. Il toponimo deriva da Montis S. Angeli ed è un composto di "monte" e del nome del santo.


IL TERRITORIO

Confina con Cagnano Varano, Carpino, Manfredonia, Mattinata, San Giovanni Rotondo, San Marco in Lamis, Vico del Gargano e Vieste. Il suo clima è molto rigido, d'inverno scende spesso sotto i 0°C e non mancano le nevicate, le estati sono fresche e non superano i 20°C. Il centro urbano si erge su uno sperone del Gargano in una zona boscosa non distante dal mare. La natura calcarea del suolo si manifesta in una pluralità di fenomeni carsici, tra i quali la famosa grotta dell'arcangelo Michele.


STORIA

Il centro urbano nasce attorno all'anno 1000, ma la storia di Monte Sant'Angelo è precedente di almeno cinque secoli, quando, secondo la tradizione agiografica, l'8 maggio del 490 l'arcangelo Michele apparve al santo vescovo di Siponto Lorenzo Maiorano, chiedendogli di dedicare la grotta al culto cristiano in suo nome.
Nel VII secolo i Longobardi, particolarmente devoti di san Michele, elevarono la grotta a loro santuario nazionale; attraverso il tratto della Via Francigena che congiungeva la località con l'isola di Mont Saint-Michel, sul canale della Manica, si sviluppò un intensissimo flusso di pellegrini. Nella seconda metà del X secolo la Sacra Grotta divenne meta obbligata dei crociati diretti in Terrasanta, e proprio in quegli anni, si sviluppò, nei pressi della grotta, il centro urbano che fra il 1086 e il 1105 divenne capitale di un vasto possedimento normanno.
Il linguaggio urbanistico ed architettonico di Monte Sant'Angelo trova la sua origine in quel fenomeno culturale noto come  Civiltà rupestre, attivo già dal IV secolo d. C. ed il cui avvicendarsi di avvenimenti e strati sociali diversi ha creato quel  carattere dialettico del linguaggio architettonico. Il Centro Storico di Monte Sant'Angelo, nel rione Junno, si  presenta con un sistema  urbanistico a cellula: le case sono costruite a grappoli, legate fronte a fronte con archi, strade strette e larghe scale. Quasi tutte le case hanno ampie arcate e alte loggette di tipo arabo con comignoli dalle forme più bizzarre, ed il più delle volte esse sono precedute da un cortile che da direttamente sulla  strada.
I notevoli dislivelli del terreno hanno determinato questa particolare conformazione del paese, dando origine ad una struttura  urbanistica di crescita fino  al  XVI secolo. Nella  parte alta della  città, in contrapposizione, si ammirano le case baronali con  l'architettura provinciale tipica del napoletano, che si dispongono lungo le strade principali di Corso Vittorio Emanuele, con il superamento della cinta delle antiche mura: qui abitarono i Galantuomini, la cui ideologia era ispirata a interessi agrari e a scelte conservatrici. Il nuovo modello urbanistico rispecchia la struttura funzionale delle masserie, dove la facciata centrale è caratterizzata da  un elegante portale; dall'ingresso, con arco a tutto sesto, si  passa, tramite il vestibolo e la scalinata, nei locali superiori, con camere da letto, sala da pranzo, soggiorno, cantine e depositi. Erano due modi differenti di abitare, quello dei Galantuomini e quello dei  lavoratori, con  vani  sovrastanti piccoli e stretti, con poca aria e poca luce.
Alle case rurali del Rione Junno e alle case baronali del centro, si accostano le case a schiera dei quartieri Coppa e Sotto Sant'Antonio Abate, caratterizzate da vano utile unico, coperto con volta a tutto sesto. I muri perimetrali sono costruiti da due filari di conci di tufo calcareo, con tramezzature interne ed opere murarie; molto spesso in queste cellule un tramezzo divide la zona pranzo-cucina-soggiorno. I punti di maggiore importanza strutturale, architravi, pilastri di sostegno delle porte e delle finestre, sono realizzati in massello di calcareo, che spesso sono intagliati  e decorati. Si accede ai piani superiori attraverso una serie di scalette in blocchi calcarei prefabbricati, disposti a volte in senso longitudinale, a volta radiale rispetto alla strada.
A differenza del rione Junno, nato senza alcuna pianificazione o regolarità urbanistica, si assiste, in questi  quartieri a schiera, ad un'edilizia organizzata, con preordinata uniformità di prassi costruttiva. Le  case   a  schiera in genere  si trovano all'ombra  del  cerchio centrale  della  città, in contrapposizione sociale ed  economica.


GONFALONE

Lo stemma della Città di Monte Sant’Angelo è costituito da uno scudo inquartato riportante nel primo e terzo riquadro la figura di S.Michele Arcangelo, nel secondo e quarto la croce. Le figure e le croci sono di colore azzurro. Lo stemma è contornato da due rami, uno di corbezzolo l’altro di quercia, intrecciati nel basso e legati da un nastro argentato. Lo stemma è sormontato da una corona a cinque torri.
Il Gonfalone della Città di Montesant’Angelo consiste in un drappo di colore bianco, riccamente ornato di ricami di argento e caricato dello stemma sopra descritto, con l’iscrizione centrata in argento “Montesant’Angelo”.
Fascia tricolore verticale sul lato destro e fascia azzurra verticale sul lato sinistro fuoriuscenti a punta dal lato inferiore del drappo. Le parti di metallo e i nastri saranno di colore argentato e la lancia terminale riporterà lo stemma della Città.


MONUMENTI

Castello


A pochi passi dalla Basilica, si erge il castello; edificato dal vescovo di Benevento Orso I fra l'837 e l'838, fu ampliato da normanni, svevi e angioini, che lo utilizzarono come prigione. Particolarmente poderosa la sua parte piu' antica, cosiddetta Torre dei Giganti che, alta 18 metri, ha un forma pentagonale e mura spesse 3,70 metri. Con l'avvento dei Normanni, il castello divenne la dimora dei principi della signoria dell'Honor Montis Sancti Angeli: fu di proprietà di Rainulfo, conte di Anversa e poi di Roberto il Guiscardo, al quale si deve la torre dei Normanni e la "Sala del Tesoro". Grande importanza assunse la fortezza sotto Federico II, che provvide a restaurare la fortezza per farvi dimorare Bianca Lancia, amante e sua ultima moglie. La leggenda vuole che nel castello di Monte Sant'Angelo dimori il fantasma di Bianca Lancia, che quì fu tenuta prigioniera. Pare la si possa vedere vestita di bianco e si possano udire i suoi lamenti, specialmente nel periodo invernale. Inoltre, sempre la leggenda vuole che la pianta selvatica che cresce sulle torri del castello, unico posto al mondo dove cresce, sia dello stesso identico colore della veste della donna, che dal torrione principale fu vista gettarsi nel vuoto.
Morto l'imperatore, passò a Manfredi, quindi a re Corrado.
Gli Angioini lo adibirono quasi esculsivamente a prigione di stato: famose sono rimaste le detenzionei di Filippa di Antochia, pricipessa sveva, che vi mori' nel 1273, ed ancora di piu' quella della regina Giovanna I di Napoli, che probabilmente fu assasinata nel 1382. Toccò agli Aragonesi portare il castello alla sua antica magnificenza: Ferdinando fece costruire, nel 1491, le torri circolari agli estremi del lato sud e, nel 1493, fece restaurare il torrione a forma di carena di nave.
Verso la meta' del XVI sec. ne entrarono in possesso i principi Grimaldi sino alla fine del'700, quando Ferdinando IV di Borbone lo dono' al Cardinale Ruffo.

Resti della mura duecentesche

In parte sono ancora visibili, anche se erano in discrete condizioni sino alla fine del Settecento quando, l'ampliamento dell'edilizia ed il mutare della condizione socio-economiche, hanno determinato la nascita di quartieri che hanno modificato l'antico tessuto urbano.

La Tomba di Rotari


È un battistero del XII secolo. Sull'architrave del portale vi sono preziosi rilievi. A pochi metri dalla Basilica si osserva la liscia facciata settecentesca della chiesa di San Pietro, dove spicca un rosone a traforato raffigurante quattro sirene che si intrecciano. All'interno, l'abside e le basi delle colonne in granito della diruta Chiesa di San Pietro, la piu' antica della città. Dalla sinistra dell'abside si accede al Battistero di San Giovanni in Tumba noto come "Tomba di Rotari", non un sepolcro, come l'erroneo nome lascerebbe supporre, ma un battistero che, nei primi anni del XII sec., Rodelgrimo e suo cognato Pagano da Parma fecero sopraelevare e coprire con una cupola. L'appellativo del monumento é dovuto all'interpretazione errata del nome del costruttore e del vocabolo "Tumba" (cupola). L'edificio é articolato su tre ordini: il primo piano è a pianta  ottagonale, il secondo ellissoidale con un alto tamburo sormontato da una cupola. Di pregevole fattura i bassorilievi che sormontano l'ingresso: il primo raffigurante la "Cattura di Gesu'" , l'altro, posto in alto, la "Deposizione", le "Marie al sepolcro" e "l'Ascensione ".

LUOGHI DI CULTO


La Basilica di San Michele


L'atrio della Basilica é delimitato da un colonnato e, sulla destra, l'imponente campanile ottagonale fatto costruire da Federico II come torre di avvistamento su commissione di Carlo I d'Angiò,  fu  trasformato in campanile e terminato nel 1274. Dall'atrio superiore si accede alla scalinata che conduce fino al portale romanico chiamato Porta del Toro, il cui ingresso é protetto da porte in bronzo donate dal nobile amalfitano Pantaleone III. I due battenti sono suddivisi in 24 pannelli che raffigurano episodi angelici tratti dal Vecchio e Nuovo Testamento. La navata è in stile gotico, sorretta da tre costoloni con tre campanate e volte a crociera, introduce nella Grotta. A sinistra troviamo il settecentesco Coro del Capitolo, la Cappella delle Relique, dove si venera la croce di Federico II del XIII secolo, in filigrana d'argento e cristallo, che custodiva un pezzetto della Santa Croce. Addossato alla parete rocciosa, a destra dell'ingresso, l'altare del XII sec. dedicato a San Francesco D'Assisi, pellegrino alla Basilica nel 1276. Sulla destra della navata si apre la Sacra Grotta: in fondo si può ammirare il bellissimo Arcangelo del Sansovino del 1507.

L'origine del Santuario

In Puglia, sul Monte Gargano, la Città di Monte Sant'Angelo accoglie il più celebre santuario dell'occidente latino dedicato all'Arcangelo Michele. Posta sulla sommità del massiccio montuoso, la Basilica, costituita da un complesso di costruzioni di varie epoche intorno alla Grotta naturale, è testimone di 15 secoli di storia. La caverna calcarea era probabilmente presente già in età greca e romana come luogo di culto, infatti lo storico Strabone parla, riferendosi probabilmente ad essa, di un tempio dedicato al dio Calcante, mitico indovino, sacerdote di Apollo: qui accorrevano i fedeli per chiedere i responsi, spesso trascorrendo le notti avvolti nelle pelli degli animali sacrificati, ed è probabile che vi si adorasse anche lo stesso Apollo.
L’origine del Santuario si colloca tra la fine del V e l'inizio del VI secolo quando, come testimonia il Liber de apparitione sancti Michaelis in Monte Gargano, l’iniziativa del vescovo Lorenzo Maiorano di voler eliminare il culto pagano tra gli abitanti del Gargano fu accompagnata da fatti miracolosi che diedero origine al culto dell’Arcangelo Michele sul promontorio pugliese. Esso è legato alla memoria di tre apparizioni, seguite, poi, da una quarta avvenuta a distanza di molti secoli.
In questa fase il Santuario era ben diverso da come appare oggi: alla caverna si accedeva in salita dalla valle chiamata “di Carbonara”, attraverso un porticato ed una galleria che portavano nell’irregolare e profonda caverna. San Michele, in questa fase storica, era venerato come il guaritore delle malattie e colui che presenta le anime dei defunti al trono divino.
Famosa la cosiddetta “stilla”: un’acqua miracolosa che, secondo i racconti, stillava dalle rocce della caverna e guariva ogni sorta di male. La storia del Santuario si intrecciò strettamente con la storia dei Longobardi, ricoprendo un ruolo di mediazione tra la promozione di una fede popolare e il consolidarsi di una politica religiosa, diventando il sacrario nazionale di questo popolo che vedeva nell'Arcangelo la figura ideale di dio guerriero protettore.
La Basilica fu oggetto di imponenti lavori di ristrutturazione ed ampliamento che resero più funzionale la sua struttura, fu inserita in un circuito di pellegrinaggi, tanto da diventare meta di numerosissimi fedeli provenienti dadiverse parti dell’Europa. Tra la fine del IX e gli inizi del X secolo, la Basilica subì vari attacchi da parte dei Saraceni, e durante uno di questi, nel 869, subì gravi danni. L’imperatore Ludovico (825 - 875) intervenne mettendo a disposizione i mezzi per restaurare le rovine della Chiesa, e fu in questa circostanza che si realizzarono le decorazioni ad affresco delle murature, gli archi e i pilastri della scalinata monumentale che conduceva all'altare delle “Impronte”.
Tra il X e l'XI secolo, il Santuario si trovò ad essere nuovamente sotto il dominio Bizantino (seconda ellenizzazione). I primi Normanni venuti in Italia si spinsero verso il Gargano stringendo alleanza con il condottiero Melo da Bari per cacciare i Bizantini dalla Puglia: cominciò, così, il periodo normanno durante il quale la Città di Monte Sant’Angelo venne definita “Signoria dell'onore” e godette di innumerevoli diplomi ed esenzioni.
Sotto il dominio di Roberto il Guiscardo, si provvide ad una più articolata riorganizzazione della Chiesa Grotta, e sono molti indizi che fanno pensare ad un assetto affine a quello attuale nel quale inserire l’ingresso monumentale, le porte di bronzo e, forse, le suppellettili marmoree. Intanto il centro abitato cresceva e si allargava. Federico II venne spesso a dimorarvi con la sua corte fastosa, e la leggenda vuole che nell’imponente castello di Monte Sant’Angelo il Puer Apuliae abbia generato Manfredi da Bianca Lancia. Egli, tuttavia, non disdegnò di saccheggiare lo stesso Santuario ma poi, pentito, donò un reliquario con un pezzo della Santa Croce che aveva acquisito nella crociata in Terrasanta da lui condotta. Tra la seconda metà del XIII secolo e i primi decenni del XIV il complesso di San Michele Arcangelo subì un’imponente opera di trasformazione promossa e realizzata dai sovrani angioini che avevano il Santuario sotto la loro protezione. Per volontà di Carlo I d’Angiò il collegamento tra la Grotta e il centro abitato di Monte Sant’Angelo, dominato dal gruppo di edifici attorno a Santa Maria Maggiore, venne reso più agevole ampliando e prolungando di alcune rampe la scalinata in parte già esistente. A lui si devono l’attuale sistemazione del Santuario e l’accesso “in discesa” dal lato sud attraverso un’ampia scalinata segnata da grandi arcate laterali. Commissionò la grande navata, suddivisa in tre campate, addossata alla Grotta, nel cui abside si trova l’altare barocco di fine Seicento. A lui si deve anche la costruzione del grande campanile.
Il Santuario registra un numero sempre maggiore di presenze da parte di fedeli e devoti di ogni estrazione sociale. Il piazzale antistante l’ingresso della Basilica, che nel corso dei secoli fu affollato di edifici, prese il nome di “atrio della colonna”, per la presenza di una colonna alla cui cima vi era una statua di San Michele. Tale statua venne poi rimossa in occasione della risistemazione del piazzale, avvenuta nel 1865, in seguito alla quale nacque la facciata a due arcate, di cui la sinistra è una ripresa in stile di quella originaria.


Chiesa di Santa Maria Maggiore

La sua costruzione risale al XI-XIII secolo. A destra dell'ingresso della Tomba di Rotari si apre l'atrio che immette nella Chiesa di Santa Maria Maggiore, ritenuta da alcuni la cattedrale di Monte Sant'Angelo. La chiesa viene tradizionalmente riferita alla committenza di Leone arcivescovo di Siponto. Durante la reggenza di Costanza di Altavilla (1198) la chiesa fu ristrutturata secondo il modello romanico-svevo di Capitanata, e risulta particolarmente interessante la facciata ad arcate cieche su esili lesene, racchiudenti losanghe sormontate da una cornice a mensole scolpite. Il portale a baldacchino (1198) poggia su due aquile ed e' adorno di stipiti, architravi e cornici scolpite. Nella lunetta del portale, occupata della Madonna con il Bambino, si riconoscono il committente, il sacerdote Benedetto II, e una figura femminile identificata da alcuni con l'imperatrice Costanza. L'interno e' a tre navate, di cui quelle laterali ad arco acuto, sono separate da pilastri con capitelli istoriati; sulle pareti sono visibili affreschi di scuola bizantina. All'esterno e all'interno del prospetto sono stati di recente rilevati interessanti graffiti, alcuni raffiguranti navi con vele e rematori, con chiara allusione al pellegrinaggio e alle Crociate.


Abbazia di Pulsano

A circa 8 Km da Monte Sant'Angelo, si possono ammirare i ruderi di Santa Maria di Pulsano edificata nel 591, sui resti di un tempio pagano dedicato a Calcante dai monaci dell'ordine di S. Equizio. Poco note sono le vicende storiche dell'Abbazia sino al XII secolo, quando risorse dal grave stato di abbandono in cui versava. Sul finire del secolo i Celestini continuarono a prendersi cura del cenobio sino a quando non venne affidato in commenda. Nel 1500 il Cardinale Ginnasi fece restaurare tutte le fabbriche dell'abbazia che vennero, poi, quasi totalmente distrutte, insieme all'archivio, dal terremoto del 1646.
Successivamente furono i Celestini di Manfredonia a reggere Santa Maria di Pulsano sino all'emanazione delle leggi napoleoniche del 1806, quando la chiesa ritornò al Patrimonio Regolare.




Chiesa di San Benedetto


La  Chiesa  di  San Benedetto  versa nel  più  completo stato di abbandono dopo l'estromissione dei monaci Celestini dallo stesso. E' una chiesa molto antica, fondata su precedenti luoghi di culto da Agnese di Durazzo, moglie di Giovanni d'Angiò e  nonna di Carlo III. Dopo secoli di prestigio fu affidata ad un certo fra Pasquale, converso del disperso ordine o frate  laico che aveva trovato una nuova occupazione. E' su questa chiesa che, per amore o necessità, la Confraternità di S. Antonio Abate  mette gli  occhi, in quanto il povero tempio è diventato una specie di " terra  di  nessuno ". La statua in pietra di Sant' Antonio  Abate, datata 1779, fu portata nella nicchia del campanile di S. Benedetto, ricavata dall'entrata al campanile stesso da parte  dei Monaci che vi accedevano dal dirimpettaio balcone del palazzo abaziale attraverso un pontile di legno. Ciò è provato dal  fatto che la prima scalinata del campanile non esiste, ms c'è una regolare scala a chiocciola dall'altezza della nicchia alla cella campanaria. La porta d'ingresso alla base del campanile farebbe pensare a due entrate. Il vano del palazzo municipale  dirimpettaio del campanile rimase per vario tempo di proprietà della Congrega e ad esso si accedeva dalla scalinata a  chiocciola dell'organo. In seguito fu permutato con l'attuale seconda uscita sul retro.


Chiesa di Sant'Antonio Abate


La chiesa di Sant'Antonio Abate, costruita fuori le mura del Monte, è riconducibile alla seconda metà del secolo XII, struttura e stile sono da collegarsi alle correnti di influenza normanno-siculo. Presenta una facciata a cuspide con portale lunato a ghiera multipla, trabeazione e lunetta con figure a rilievo con sovrastante finestra ad occhio e statua di Sant' Antonio Abate. Sulla parte sinistra della facciata si può ammirare il campanile, con bifore ad archetti e piano rialzato inclusa in arco cieco falcato. L'interno è a navata unica con volta ogivale. All'interno le due arcate ogivali, poggiano, su pilastri quadrangolare sporgenti delle pareti: la prima, più vicina all' ingresso, è stata modificata tra i secoli XVII e XVIII con la creazione di un voltone con sovrastante coro, la terza si conclude con un muro che serra l' ambiente. La copertura è realizzata col tipico sistema pugliese delle lastre in pietra su sagome a due spioventi. La facciata, parzialmente integrata in seguito a danni nella parte alta, conserva il portale originario con ricca decorazione e si articola con un campanile. Nella lunetta del portale campeggia uno ieratico Sant'Antonio Abate, ai lati del Santo ci sono due figure ornate, molto più piccole che si identificherebbero in quella del committente e quella dell' architetto. Più marcata e meglio delineata, quella a destra di chi osserva appariva chiaramente avvolta in abiti sacerdotali o addirittura vescovili e ricordava anche in qualche modo le toghe della nobiltà senatoria romana.






Chiesa con Convento di San Francesco

La tradizione, arricchita da una serie di leggende, vuole che S. Francesco, pellegrino alla Grotta di San Michele nel 1216, abbia fondato un convento primitivo sulla cima della Valle dell' Inferno chiamata in seguito Valle di Sant' Oronzo. Qui sorsero, nel 1300, per volontà della regina Giovanna I d' Angiò, il Convento e la Chiesa di San Francesco. L'attuale conformazione del Convento non mostra, tuttavia, tracce di tale epoca. La disposizione delle celle ed altri elementi interni rivelano la tipologia comune ai conventi francescani del XVI secolo. Anche la chiesa presenta elementi riferibili piuttosto alla fine del XVII secolo, in accordo con le notizie pervenute sui lavori di ristrutturazione eseguiti intorno agli anni 1670-1680 per adeguare la Chiesa alle nuove esigenze della popolazione e alle direttive della Controriforma.
Da una lapide si apprende che la chiesa, assunto l'aspetto attuale nel 1786, fu restaurata nel 1826 e l'anno successivo fu ricostruito il campanile. Il Convento fu sempre un centro importante di istruzione per i frati. In seguito agli avvenimenti determinati dalla Rivoluzione Francese e dalla napoletana del 1799 e sopratutto nel decennio francese che vide la soppressione degli ordini religiosi, l'abolizione della feudalità e della manomorta ecclesiastica, anche questo Convento ebbe la sorte degli altri.
I frati furono allontanati, la biblioteca e l'archivio smembrati e dispersi, e l' edificio requisito. Il complesso subì notevoli ristrutturazioni per adattarsi alle diverse destinazioni che ebbe nel secolo XIX. Nel 1809 vi si accamparono le milizie francesi e nel 1825 il Decurionato lo utilizzò come uffici del Comune, della Giustizia Regia e come caserma della Guardia di Pubblica Sicurezza. Con l'Unità d' Italia, in seguito a Decreto Luogotenenziale del 1861, il Convento fu devoluto alla Cassa ecclesiastica. Nel 1863 fu adibito a quartiere per la Guardia Nazionale istituita per repressione del brigantaggio. Successivamente il Comune ne chiedeva la cessione gratuita per il fatto che il Convento era stato costruito nel perimetro delle mura di cittadine e con il contributo della popolazione, per ottenere, quindi, la cessione nel 1865 e farne delle scuole.

L' Architettura del Convento di S. Francesco

L'ubicazione del Convento di San Francesco con l'adiacente chiesa, nella parte più viva del centro abitato risponde ad una scelta funzionale per consentire il contatto diretto con la gente e la partecipazione attiva alla vita della comunità urbana, caratteristiche proprie dello spirito dei Francescani. La struttura attuale del convento è databile, probabilmente, verso la fine del Cinquecento. Lo schema seguito per la sua costruzione è quello canonico: un porticato che racchiude un chiostro centrale dalla forma quadrata e raccoglie il flusso distributivo sia a livello di piano terra che dei piani superiori. Lo sfondo del porticato è arricchito da una scalinata con tre rampe che portano al corridoio del primo piano. Da questo corridoio, lateralmente, si accede alle varie celle e camere, individuate con un numero romano inciso sull' architrave degli ingressi. Le dimensioni degli ingressi e delle celle rispondono a quella usuali. I locali a piano terra erano destinati alla vita comunitaria indiziata dalla presenza della chiesa, del refettorio e del giardino, mentre gli altri dovevano accogliere i dormitori. L'architettura all'ingresso è ritmata dal susseguirsi di pilastri e archi ed è modellata da volte di vario tipo: a botte, a crociera, a schifo. Su qualche parete si notano resti di affreschi di epoca recente, eseguiti da maestranze locali. La presenza di una cucina, al primo piano, definisce uno spazio abbastanza singolare e risucchiato in alto da una struttura tronco piramidale.

Chiesa della Madonna del Carmine

 

 

 

 Ex Convento dei Carmelitani, noto come Chiesa di Santa Maria del Carmine. Ai Carmelitani succede il Demanio Regio fino al 1813, ma in seguito andò in beneficio del Comune. Nel giugno 1827 fu adibito a quartiere della truppa tedesca e caserma delle truppe austriache ma nel luglio dello stesso anno andò nelle mani di monsignore Arcivescovo della Diocesi, Eustachio Dentice, affinchè potesse stabilirvi il suo seminario ecclesiastico. Nel giugno 1836 fu addetto a scuola pubblica e gratuita con collegio. Gli scantinati e la cantina si tenevano in fitto, mentre la parte superiore non era addetta ad alcun uso.















CULTURA

Museo Devozionale

Di recente allestimento, il Museo devozionale della Basilica di San Michele Arcangelo raccoglie testimonianze che pellegrini illustri e gente comune nel corso dei secoli hanno lasciato come pegno di devozione. Le suppellettili liturgiche, gli argenti, i paramenti costituiscono il nucleo superstite di un sontuoso Tesoro, di cui imperatori, papi, vescovi e re hanno dotato nei secoli la Basilica; ciò che rimane di una storia di donazioni e spoliazioni culminata, nel febbraio 1799, con il sacco dei Francesi che portarono via ventiquattro muli carichi di argento, oro e gioie. L’altra parte del patrimonio dell’Arcangelo, il tesoro votivo, è costituito da doni meno preziosi ma altrettanto significativi per la storia del Santuario: ex voto in lamina d’argento, tavolette votive dipinte con la scena del miracolo, icona, ceri, statue dell’Arcangelo di devozione domestica, oggetti d’uso quotidiano, ornamenti preziosi offerti per grazia ricevuta. Nel tempo a questi oggetti si sono aggiunte collezioni di singoli privati che attraverso il loro dono, volevano esprimere la propria devozione: la collezione archeologica, la collezione numismatica, la raccolta dei vasi di maiolica.
Visitare il Museo significa compiere un viaggio alle radici del culto micaelico: dalla splendida icona di rame, dono votivo di due pellegrini normanni, alle piccole pietre estratte dalla sacra cava con l’effige di San Michele che si appendevano con una catenina al collo dei bambini per preservarli dal male; dalla vacca in metallo dorato, offerta da un ignoto contadino garganico grato al suo patrono per avergli conservato un bene prezioso, all’abito di San Michele indossato per voto da un bambino guarito da chissà quale malattia; dal secchiello d’argento usato per grande lampada votiva settecentesca, opera di argentieri napoletani, alla bellissima susta dono di una sposa garganica, tutto parla della fede incondizionata in San Michele, principe delle milizie celesti, ma anche vigile protettore e consolatore del singolo devoto.

Museo Lapidario

Si tratta degli ambienti dell' età bizantina e longobarda, ritornati alla luce in seguito agli scavi promossi dall' Arcidiacono del Capitolo, mons. Nicola Quitadamo, negli anni 1949-1960. Fungevano da entrata alla Grotta e furono definitivamente abbandonati nel secolo XIII, all'epoca delle costruzioni angioine. Numerose iscrizioni lungo le pareti di queste "cripte", alcune a caratteri runici, testimoniano il notevole afflusso dei pellegrini fin dall'epoca longobarda. Le "cripte" sono composte da due ambienti le cui strutture dovettero realizzarsi in due fasi immediatamente successive l'una all'altra. Alcune iscrizioni murarie, identificate nel 1974, hanno reso possibile datare le costruzioni tra la fine del VII e l'inizio del secolo VIII. Le cripte, lunghe circa 60 metri, si sviluppano fin sotto il pavimento della Basilica. L'ambiente, lungo circa 45 m, giunge fino al possente muro di sostegno sul quale, nella parte superiore, sono poggiate le famose porte di bronzo. Questa prima parte appare come una galleria porticata, articolata in otto campate rettangolari, tra loro comunicanti tramite arconi trasversali, che spiccano da grossi pilastri aggettanti dalle pareti laterali, ed il tutto è coperto da una volta a botte. Nel 1975, venne scoperta una cella mortuaria con due sarcofagi, uno dei quali non è stato aperto, con una copertura in malta e con una croce graffita del secolo VII - VIII. In quest' ambiente, sono esposte diverse sculture provenienti dagli scavi del Santuario, dall' ex Chiesa di S. Pietro e dalle rovine della abbazia benedettina di S Maria di Pulsano.

Museo di Arti e Tradizioni Popolari

Il Museo, allestito nell'antico Convento francescano del XIV secolo, conserva il titolo della prima raccolta museale che Giovanni Tancredi, a cui è dedicato, presentò nel 1925. L'attuale sistemazione del Museo è stata concepita in modo da consentire l'esposizione di un materiale tipologicamente vario, rappresentativo dell'intero  territorio garganico, con particolare attenzione alla realtà lavorativa rurale e urbana di un passato recente ('800-'900). Presenta un 'esposizione dinamica e narrativa, disponendo un continuo ricambio espositivo di momenti, temi e aspetti della vita e del lavoro delle classi subalterne nelle loro varie trasformazioni, lungo l'inarrestabile scorrere del tempo.

CURIOSITA’

E’ l’unico paese forse in Italia ad avere alcune vie nominate con i numeri, così come si usa negli Stati Uniti, ovvero STRADA 55 ecc.

 

San Michele

Il suo nome "Mi ka - 'El" significa "Chi è come Dio?". L'Arcangelo Michele era considerato già dagli Ebrei come il principe degli angeli, protettore del popolo eletto, simbolo della potente assistenza divina nei confronti di Israele. Nell'Antico Testamento appare per tre volte, in particolare nel libro di Daniele (Dn 10,13.21; 12,1), dove è indicato come il difensore del popolo ebraico e il capo supremo dell'esercito celeste che sta dalla parte dei deboli e dei perseguitati: "Or in quel tempo sorgerà Michele, il gran principe, che vigila sui figli del tuo popolo. Vi sarà un tempo di angoscia, come non c'era mai stato dal sorgere delle nazioni fino a quel tempo; in quel tempo sarà salvato il tuo popolo, chiunque si troverà scritto nel libro".
(Dn 12,1)

A San Michele è attribuito il titolo di arcangelo, lo stesso titolo con cui sono designati Gabriele (forza di Dio) e Raffaele (Dio ha curato). Nel Nuovo Testamento, San Michele Arcangelo è presentato come avversario del demonio, vincitore dell'ultima battaglia contro satana e i suoi sostenitori. Nel capitolo 12 del libro dell' Apocalisse
troviamo la descrizione della battaglia e della sua vittoria :"Scoppiò quindi una guerra nel cielo. Michele e i suoi angeli combattevano contro il drago. Il drago combatteva insieme con i suoi angeli, ma non prevalsero e non ci fu più posto per essi in cielo. Il grande drago, il serpente antico, colui che chiamiamo diavolo e satana e che seduce tutta la terra fu precipitato sulla terra e con lui furono precipitati anche i suoi (...)". I cristiani hanno sempre considerato l'Arcangelo il più potente difensore del popolo di Dio. Nell'iconografia, sia orientale che occidentale, San Michele viene rappresentato come un combattente, con la spada o la lancia nella mano, che sottomette ai suoi piedi satana, raffigurato come dragone che viene sconfitto nella battaglia.
L'Arcangelo viene riconosciuto anche come guida delle anime al cielo, funzione evidenziata nella liturgia romana, in particolar modo nella preghiera per l'offertorio della messa dei defunti: "Signore Gesù Cristo, libera le anime dei fedeli defunti dalle pene dell'inferno; San Michele, che porta i tuoi santi segni, le conduca alla luce santa che promettesti ad Abramo e alla sua discendenza". La tradizione attribuisce a San Michele anche il compito della pesatura delle anime dopo la morte. Per questo, in alcune sue rappresentazioni iconografiche, oltre alla spada, l'Arcangelo porta in mano una bilancia.
Nei primi secoli del Cristianesimo, specie presso i Bizantini, Michele era considerato come medico celeste delle infermità degli uomini. San Michele, inoltre, ha il singolare privilegio di prestare l'ufficio dell'assistenza davanti al trono della Maestà Divina, Egli stesso si presentò così al Vescovo Lorenzo: «Io sono Michele e sto sempre alla presenza di Dio».
La Chiesa oggi celebra la festa di San Michele, unita insieme a quella di San Gabriele e di San Raffaele, il 29 settembre.
In passato erano due le feste liturgiche in onore dell'Arcangelo, che tuttavia si conservano ancora oggi per la Città di Monte Sant'Angelo: il 29 settembre, celebrata inizialmente solo a Roma, come ricordo della dedicazione di un'antica Basilica eretta in suo onore sulla via Salaria, e l'8 maggio, anniversario della I apparizione al Vescovo di Siponto al Gargano e, in modo particolare, celebrazione dell'episodio della vittoria (II apparizione) dei sipontini sui barbari invasori. A partire dall'XI secolo, queste due ricorrenze particolari del Santuario si diffusero in tutta l'Europa. Nel Medioevo entrambe venivano collegate con il Gargano:

  • 8 maggio: anniversario delle apparizioni;

  • 29 settembre: dedicazione della Basilica.

La festa dell'Apparizione di San Michele dell'8 Maggio fu istituita da papa Pio V. A San Michele sono dedicate diverse chiese, cappelle e oratori in tutta Europa, dove l'Arcangelo viene rappresentato sulle guglie dei campanili, in quanto è considerato il guardiano delle chiese contro satana. A lui vengono dedicate cappelle e ossari nei cimiteri.
Numerose città in Europa (Iena, Andemach, Colmar) lo venerano come santo patrono; in Italia troviamo sotto la sua protezione più di 60 località (tra le quali Caserta, Cuneo, Alghero, Albenga, Vasto), ed è anche protettore di numerose categorie di lavoratori: farmacisti, doratori, commercianti, fabbricanti di bilance, giudici, maestri di scherma, radiologi. E' anche il patrono della polizia di Stato e dei paracadutisti di Francia e d'Italia.

I pellegrinaggi

L'universalità del culto di S. Michele ha influito a rendere meno isolato il Gargano, infatti l'assidua frequenza di pellegrini al Santuario, la diffusione di insediamenti eremitici in grotte e la capillare presenza di ordini monastici sul Promontorio hanno rappresentato di fatto i presupposti di uno stabile collegamento dell'intero territorio con le due maggiori arterie romane: la "Litoranea" e l' "Appia-Traiana".

Le quattro apparizioni

L'episodio del toro e la prima apparizione dell'Arcangelo

In un'oper agiografica, datata tra il V e l'VIII secolo, il Liber de apparitione Sancti Michaelis in Monte Gargano si narra che:
«Vi era in questa città un uomo molto ricco di nome Gargano che, a seguito delle sue vicende, diede il nome al monte. Mentre i suoi armenti pascolavano qua e là per i fianchi di scosceso monte, avvenne che un toro, che disprezzava la vicinanza degli altri animali ed era solito andarsene da solo, al ritorno dal gregge, non era tornato nella stalla. Il padrone, riunito un gran numero di  servi, cercandolo in tutti i luoghi meno accessibili, lo trova, infine, sulla sommità del monte, dinanzi ad una grotta. Mosso dall'ira perché il toto pascolava da solo, prese l'arco, cercò di colpirlo con una freccia avvelenata. Questa ritorta dal soffio del vento, colpì lo stesso che l'aveva lanciata.» Turbato dall'evento, egli si recò dal vescovo che, dopo aver ascoltato il racconto, ordinò tre giorni di preghiere e digiuno. Allo scadere del terzo giorno, al vescovo Maiorano apparve l'Arcangelo Michele che gli disse: «Hai fatto bene a chiedere a Dio ciò che era nascosto agli uomini. Un miracolo ha colpito l'uomo con la sua stessa freccia, affinché fosse chiaro che tutto ciò avviene per mia volontà Io sono l'Arcangelo Michele e sto sempre alla presenza di Dio. La caverna è a me sacra. E poiché ho deciso di proteggere sulla terra questo luogo ed i suoi abitanti, ho voluto attestare in tal modo di essere di questo luogo e di tutto ciò che avviene patrono e custode. Là dove si spalanca la roccia possono essere perdonati i peccati degli uomini. Quel che sarà qui chiesto nella preghiera sarà esaudito. Va', perciò, sulla montagna e dedica la grotta al culto cristiano.» Ma, poiché quella montagna misteriosa e quasi inaccessibile era stata luogo di culti pagani, il vescovo esitò prima di decidersi ad obbedire alle parole dell'Arcangelo.

La Battaglia e la seconda apparizione

La seconda apparizione di San Michele, detta "della Vittoria", viene tradizionalmente datata nell'anno 492. Gli studiosi, tuttavia, riferiscono l'episodio alla battaglia tra Bizantini e Longobardi del 662 - 663: i greci attaccarono il Santuario garganico, in difesa del quale accorse Grimoaldo I, duca di Benevento. Ed ecco che la stessa notte, che precedeva il giorno della battaglia, apparve in visione al vescovo Lorenzo Maiorano san Michele, dice che le preghiere sono state esaudite, promette di essere presente e ammonisce di dare battaglia ai nemici "all'ora quarta del giorno". La battaglia, accompagnata da terremoti, folgori e saette, si concluse con il successo di Grimoaldo. La vittoria riportata sarebbe avvenuta l'8 maggio, divenuto in seguito il dies festus dell'Angelo sul Gargano, legando ufficialmente il culto dell'Angelo e il popolo longobardo.

La Dedicazione e la terza apparizione

La terza apparizione viene denominata anche "episodio della Dedicazione". «Intanto i Sipontini rimanevano in dubbio su cosa fare del luogo e se si dovesse entrare nella chiesa e consacrarla.»
Tuttavia, nel 493, dopo la vittoria, il vescovo Maiorano decise di obbedire al Celeste Protettore e di consacrare al culto la Spelonca in segno di riconoscenza. «Ma la notte, l'angelo del Signore, Michele, apparve al vescovo di Siponto in visione e disse: "Non è compito vostro consacrare la Basilica da me costruita. Io che l'ho fondata, io stesso l'ho consacrata. Ma voi entrate e frequentate pure questo luogo, posto sotto la mia protezione".» Il vescovo Lorenzo, insieme ad altri sette vescovi pugliesi, in processione con il popolo ed il clero Sipontino, si avviò verso il luogo sacro. Durante il cammino si verificò un prodigio: alcune aquile, con le ali spiegate, ripararono i vescovi dai raggi del sole. Giunti alla Grotta, vi trovarono eretto un rozzo altare, coperto di un tessuto vermiglio e sormontato da una Croce. Inoltre, la leggenda racconta che nella roccia trovarono impressa l'orma del piede di San Michele. Il Vescovo Maiorano offrì con immensa gioia il primo Divin Sacramento. Era il 29 settembre. La Grotta stessa, come unico luogo non consacrato da mani d'uomo, ha ricevuto nei secoli il titolo di "Celeste Basilica".

La quarta apparizione

Era il 1656 e tutta l’Italia meridionale era devastata da una terribile pestilenza. L’Arcivescovo Alfonso Puccinelli, non trovando alcun rimedio umano da contrapporle, si rivolse all’Arcangelo Michele con preghiere e digiuni. Il Pastore pensò addirittura di forzare la volontà divina lasciando nelle mani della statua di San Michele una supplica scritta a nome di tutta la Città: all’alba del 22 Settembre, mentre pregava in una stanza del palazzo vescovile di Monte Sant’Angelo, sentì come un terremoto e subito dopo San Michele gli apparve in uno splendore abbagliante e ordinandogli di benedire i sassi della sua grotta scolpendo su di essi il segno della croce e le lettere M.A. (Michele Arcangelo). Chiunque avesse devotamente tenuto con sé quelle pietre sarebbe stato immune dalla peste. Il vescovo fece come gli era stato detto, e ben presto non solo la città fu liberata dalla peste, ma tutti coloro che avevano quelle pietre, ovunque si trovassero. A perpetuo ricordo del prodigio e per eterna gratitudine, l’Arcivescovo fece innalzare un monumento a S. Michele nella piazza della città, dove ancora oggi si trova, di fronte al balcone di quella stanza nella quale si vuole che avvenne l’apparizione, con la seguente iscrizione in latino:
" Al Principe degli Angeli Vincitore della Peste Patrono e Custode monumento di eterna gratitudine Alfonso Puccinelli 1656".

La leggenda vuole che nel castello di Monte Sant'Angelo dimori il fantasma di Bianca Lancia, che quì fu tenuta prigioniera. Pare la si possa vedere vestita di bianco e si possano udire i suoi lamenti, specialmente nel periodo invernale. Inoltre, sempre la leggenda vuole che la pianta selvatica che cresce sulle torri del castello, unico posto al mondo dove cresce, sia dello stesso identico colore della veste della donna, che dal torrione principale fu vista gettarsi nel vuoto.