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L'angolo del legale

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La distinzione: spese ordinarie e spese straordinarie

Domanda frequente dei coniugi che intendono separarsi è la ripartizione delle spese di mantenimento nella duplice categoria di ordinarie e straordinarie.
Ovvero oltre all’assegno di mantenimento destinato a tutte le spese necessarie ordinarie destinate a soddisfare i bisogni e le normali esigenze di vita quotidiana della prole (si pensi al cibo o all’abbigliamento), il genitore non collocatario dovrà contribuire alle spese necessarie per far fronte ad eventi imprevedibili o addirittura eccezionali e a esigenze non rientranti nelle normali consuetudini di vita dei figli (si pensi agli interventi chirurgici o alle ripetizioni private).
Per quest’ultime la prassi vuole che il genitore non collocatario debba contribuire al 50%, tuttavia se si tratta di una separazione consensuale, i coniugi possono di comune accordo pattuire una percentuale inferiore.
Dette spese straordinarie “obbligatorie” danno diritto al rimborso al coniuge che le ha sostenute, anche se non vi è un preventivo consenso dell’altro coniuge (per esempio per i libri scolastici, per le spese sanitarie urgenti ecc.
Ma oltre alle spese straordinarie “necessarie”, vi sono le spese straordinarie “non necessarie” (si pensi al corso di danza o alla settimana bianca) per le quali il coniuge non collacatario non è obbligato a contribuire e sono subordinate al suo consenso, che se non viene dato non danno diritto al rimborso.
Tuttavia non essendovi una legge che disciplina analiticamente cosa si deve intendere per spese straordinarie necessarie e quelle che non lo sono, in merito intervengono i Protocolli dei tribunali che dettano le linee guida per la regolamentazione delle modalità di mantenimento dei figli con la finalità di orientare l’attività degli operatori del diritto.

Per maggiori informazioni contatta lo Studio dell’Avv.Myriam Battaglino 338.2332604 Viale XXIV Maggio Foggia

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Qual è l’ammontare dell’assegno di mantenimento per i figli?
Frequente domanda nei casi in cui i coniugi intendono separarsi è: “Qual è l’ammontare dell’assegno di mantenimento dovuto per i figli minori e i figli maggiorenni non economicamente indipendenti?”
Innanzitutto va evidenziato che la funzione di tale assegno è quella di garantire delle somme mensili le quali, di regola, sono poste a carico del genitore non collocatario ed in favore del genitore collocatario allo scopo di garantire a quest’ultimo un afflusso costante di denaro in modo tale che possa far fronte, quotidianamente, alle esigenze economiche per l’educazione, l’istruzione e la crescita dei figli non autosufficienti.
Non esiste una legge che stabilisce l’ammontare dell’assegno di mantenimento.
In linea di principio, ciascuno genitore deve provvede al mantenimento dei figli in misura proporzionale al proprio reddito, ovvero alle proprie possibilità economiche.
Se la separazione è consensuale, i coniugi possono accordarsi liberamente da un minimo €.200,00 mensili ad un massimo deciso di comune accordo dai coniugi la cui congruità sarà comunque valutata dal Giudice nell’interesse del minore.
Qualora, invece, non vi sia accordo tra i coniugi e, quindi, la separazione sarà giudiziale, sarà il Giudice a stabilirlo tenuto conto di indici o parametri ex art.337-ter c.c. ovvero:
1) le attuali esigenze del figlio.
2) il tenore di vita goduto dal figlio in costanza di convivenza con entrambi i genitori.
3) i tempi di permanenza presso ciascun genitore.
4) le risorse economiche di entrambi i genitori.
5) la valenza economica dei compiti domestici e di cura assunti da ciascun genitore.
Ovvero sarà il Giudice, tenuto conto della situazione in concreto, che il base al suo potere discrezionale a stabilire l’ammontare dell’assegno di mantenimento dovuto dal genitore non collocatario.

Per maggiori informazioni contatta lo Studio dell’Avv.Myriam Battaglino 338.2332604 Viale XXIV Maggio Foggia

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Nonostante sia rappresentante di una sigla sindacale, la ditta presso cui lavoro ha rifiutato più volte la concessione dei permessi retribuiti per partecipare a riunioni sindacali. Ciò nonostante la mia organizzazione abbia preventivamente informato il datore di lavoro della necessità di ricevere il permesso. Tale condotta del datore di lavoro può ritenersi anti sindacale?

L’art. 30 della L. 300/70, c.d. Statuto dei Lavoratori, prevede espressamente che i componenti degli organi direttivi, provinciali e nazionali, delle associazioni sindacali hanno diritto ai permessi retribuiti per l’esercizio delle loro funzioni rappresentative. La fruizione dei permessi non è subordinata all’autorizzazione del datore di lavoro. Più volte la Corte di Cassazione è intervenuta sull’argomento. Per esempio, nella sentenza del 24.3.01 n. 4302, la Cassazione, recependo un orientamento oramai consolidato negli anni, ha stabilito che un datore di lavoro deve solo prenderne atto della richiesta di permessi, senza possibilità di differire la data del loro utilizzo per ragioni tecnico-produttive o organizzative. Quindi, come unanimemente sostenuto dalla giurisprudenza di merito, il datore di lavoro non può limitare o negare l’esercizio di tale diritto. I permessi sindacali costituiscono oggetto di un diritto potestativo del dirigente sindacale, dal cui esercizio discende una situazione di soggezione del datore di lavoro, non essendo richiesto il consenso di quest’ultimo per produrre l’effetto giuridico di esenzione dello svolgimento della prestazione lavorativa. Per beneficiare dei permessi sindacali retribuiti è necessario che l'organizzazione sindacale di appartenenza sia firmataria di un contratto collettivo di lavoro applicato nell'unità produttiva in conformità alla previsione di tale tipo di contratto contenuta nell'art. 19, della legge n. 300 del 1970. Nel caso prospettato dal nostro lettore, si configura un comportamento antisindacale, in quanto è stato impedito al rappresentante sindacale l’esercizio libero dell’attività tipica del sindacato. I reiterati dinieghi opposti, infatti, costituiscono una lesione concreta degli interessi collettivi dei lavoratori iscritti all’organizzazione sindacale, che a causa degli stessi dinieghi non possono essere validamente rappresentati in sede di concertazione. Tale comportamento configura una condotta antisindacale, che potrà essere censurata e repressa dal Giudice del Lavoro adito, attraverso la particolare procedura prevista dall’art. 28 dello Statuto dei Lavoratori.

Avv. Bruno Colavita
Info: colavitabruno@hotmail.com

 

 

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L’Avv.Battaglino Myriam offre assistenza legale a coloro che non hanno le possibilità economiche per pagare l’onorario professionale.

Ovvero chi non ha i soldi per permettersi l'avvocato per la per un divorzio, per una separazione, per opporsi ad una sanzione amministrativa, per presentare una querela e via discorrendo, può chiedere il gratuito patrocinio in quanto è lo Stato che paga il compenso all’avvocato.

Lo scopo del patrocinio a spese dello Stato è quello di consentire a chi non è in condizioni economiche idonee a sostenere il relativo costo di potersi far rappresentare in giudizio e di difendersi.

A coloro che saranno interessati ad inoltrare la domanda per avere il gratuito patrocinio, l’Avv.Battaglino offre consulenza ed assistenza sia per la compilazione della domanda che sia per la documentazione da allegare.

A tal fine, l’Avv.Myriam mette a disposizione presso il suo Studio il modulo di domanda (ISTANZA DI AMMISSIONE AL PATROCINIO A SPESE DELLO STATO) che l’interessato dovrà compilare, firmare ed allegare i documenti richiesti.

Condizione per avere diritto al gratuito patrocinio è che il reddito del richiedente non deve essere superiore a euro 11.528,24 annui.

Pertanto, sarà necessario allegare alla domanda per avere il gratuito patrocinio l’autocertificazione sull’entità del proprio reddito.

L’Avv. Battaglino Myriam provvederà anche ad inviare telematicamente la domanda di gratuito patrocinio.

Non tutti gli avvocati sono disponibili alla difesa mediante gratuito patrocinio. Le ragioni sono varie, prima fra tutte, la tempistica (lunga) in cui viene corrisposto il compenso da parte dello Stato.
La domanda di gratuito patrocinio va compilata con attenzione perché in caso di errori e/o omissioni il Consiglio dell’Ordine Forense potrebbe non ammettere al beneficio al gratuito patrocinio e tanto potrebbe accadere quando le ragioni avanzate dal richiedente siano pretestuose.

Inoltre, bisogna stare attenti a non dichiarare il falso per non incorrere in sanzioni.

Ecco perché è bene farsi assistere da un avvocato per un’esatta ed un’idonea compilazione del modulo.

 Avvocato Battaglino - Matrimonialista Divorzista Foggia  

Per maggiori informazioni in materia di gratuito patrocinio contatta lo Studio dell’Avv.Myriam Battaglino 338.2332604

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Lavoro presso un agriturismo da circa 5 anni e svolgo mansioni di portiere presso la struttura in cui ci sono gli alloggi per gli ospiti. Posso essere considerato un lavoratore agricolo? L’attività di alloggio può essere considerata agrituristica?


Secondo l’art. 2 del D.lgs. 96/2006, per attività agrituristiche si intendono le attività di ricezione e ospitalità esercitate dagli imprenditori agricoli di cui all'articolo 2135 del codice civile, anche nella forma di società di capitali o di persone, oppure associati fra loro, attraverso l'utilizzazione della propria azienda in rapporto di connessione con le attività di coltivazione del fondo, di silvicoltura e di allevamento di animali. L’agricoltore che vuole svolgere attività agrituristiche deve richiedere al Comune ove ha sede l’azienda l’autorizzazione all’esercizio dell’attività agrituristica. Con il provvedimento comunale di autorizzazione si provvede all’automatica iscrizione dell’imprenditore nell’Elenco regionale degli operatori agrituristici. L’attività di agriturismo è considerata agricola, anche ai fini della disciplina previdenziale e assicurativa, se svolta dall’imprenditore attraverso l’utilizzazione della propria azienda in rapporto di connessione con le attività di coltivazione del fondo, di silvicoltura e di allevamento degli animali. Se un imprenditore agricolo, singolo o associato, decide di assumere direttamente del personale (operai a tempo determinato e indeterminato), deve assumere una posizione previdenziale come datore di lavoro agricolo. Possono essere addetti all’agriturismo l’imprenditore agricolo e i suoi familiari e i lavoratori dipendenti. Il ricorso a soggetti esterni è consentito esclusivamente per lo svolgimento di attività e servizi complementari. Dare ospitalità in alloggi o in spazi aperti destinati alla sosta di campeggiatori rientra fra le attività agrituristiche. A tal proposito la giurisprudenza ha affermato che il riconoscimento della qualità agrituristica dell’attività di ricezione ed ospitalità richiede la contemporanea sussistenza dei seguenti requisiti: qualifica di imprenditore agricolo da parte del soggetto che la esercita (art. 2135 c.c.); esistenza di un rapporto di connessione e complementarità con l’attività propriamente agricola e permanenza di principalità di quest’ultima rispetto all’altra (Cass. 2.10.2008 n. 24430). Da quanto detto si deduce che non può essere mai considerata agrituristica un’attività di ricezione e di ospitalità svolta dall’imprenditore che non possa qualificarsi agricolo o, comunque, che releghi l’attività di ricezione ed ospitalità in posizione del tutto secondaria rispetto alla principale attività svolta.

Avv. Bruno Colavita

Info: colavitabruno@hotmail.com

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