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Sant'Agata di Puglia la Pietra sul monte Croce e il suo antico segreto
È lunga tre metri, larga, e alta, circa due: stiamo parlando di una grande roccia presente sul monte detto della Croce posto proprio di fronte al paese. Da sempre conosciuta come “la preta re lu monde”, l’enorme roccia, stando a quanto si legge nel libro di un autore locale, racchiuderebbe un fossile marino di circa 50 milioni di anni fa.
Le pietre sono maestre mute, scriveva Goethe, esse rendono muto l’osservatore e la cosa migliore che da esse si apprende non si può raccontare. È altrettanto vero, tuttavia, che esistono pietre che hanno la capacità di riportarci storie importanti e insolite, belle ed intriganti, che meritano di essere riportate. Si tratta molto spesso di storie che riaffiorano dal ricordo di cronache narrate altrove e poi dimenticate, vicende che ci riportano fatti e circostanze che il tempo spietato trascina nell’oblio sottraendole alla memoria e al territorio.
Ma può un grosso masso nascondere in sé un segreto incredibile e grande anche più delle sue stesse dimensioni? Ebbene, a Sant’Agata di Puglia parrebbe proprio di si.
Vero è, del resto, che il caratteristico paese del Subappennino Daunio, a tutti noto con l’esclusivo e simpatico appellativo di “Loggia delle Puglie” conta nel proprio territorio numerosi e particolari macigni che, a vario titolo, meritano sicuramente di essere raccontati.
Cominciamo, allora, da quella che tutti in paese da sempre chiamano: “La Preta re lu Monde”, un grande masso rotondeggiante situato a circa due terzi dalla base sul fianco sud-ovest del monte della Croce, un rilievo culminante con due piccole cime tondeggianti vicinissimo al paese.
Nell’ interessante “Vocabolario del dialetto Santagatese” edito dal Comune di Sant’Agata di Puglia nel 1983, così lo scrittore Gino Marchitelli, autore del pregevole volume, descrive questa enorme roccia: “Prima del rigoglioso rimboschimento, quando il monte era completamente brullo e pieno di erbacce, la pietra era meta dei giochi dei ragazzi che avevano modo di arrampicarsi sulla sommità, facilitati dalle molte piccole concavità che il macigno presentava sui fianchi. Disposto con l’asse maggiore da monte a valle, la pietra é lunga poco meno di tre metri, larga circa m 1,80 e alta, in media, m 1,90”.
Ma qual è la singolarità di questo enorme masso?
A spiegarcelo è proprio lo stesso Gino Marchitelli, il quale a pagina 162 del suo volume traccia i contorni di una storia tanto insolita quanto interessante:
“…Nel 1980 l’amico Vincenzo Russo, fratello dell’Assessore Provinciale avv. Leonardo [papà di Gino Russo, attuale sindaco di Sant’Agata di Puglia (ndr)], appassionato di mineralogia, avendo notato sul macigno delle incrostazioni di fossili marini, riuscì a staccare un consistente frammento allo scopo di farlo esaminare scientificamente per conoscere la natura dei fossili e la loro età”.
A questo punto, nel protrarsi del racconto e nelle parole dello scrittore santagatese la storia si fa ancora più intrigante e coinvolgente:
“…Il Prof. Charriér, dell’istituto di Mineralogia del Politecnico di Torino, in una circostanziata relazione in data 19-4-1980, afferma che il frammento inviato dal Russo “non ha in superficie un conglomerato di fossili marini, ma é, per intero, una cellula di un unico individuo preistorico di grandi proporzioni”. Egli ha assegnato al monte l’età di 100 milioni di anni, - prosegue il Marchitelli - facendolo risalire, cioè, al periodo cretaceo caratterizzato dall‘attività di molluschi lamellibranchi costruttori di recinti del tipo corallino. Il fossile, dell’età di 50 milioni di anni ha la peculiare struttura delle rudiste». È da presumere, quindi, che al momento dell’immane sconvolgimento geologico, - conclude l’autore del libro - mentre le acque si ritiravano, il mollusco, per la sua grande mole, si sia arenato senza alcuna possibilità di guadagnare il mare. Conseguentemente si può ritenere che l’attuale fossile emergente sia soltanto una parte del suo corpo che certamente si trova ancora imprigionato nella sabbia compatta”.
Questa, in definitiva, la storia che abbiamo riletto con piacere dal libro dell’architetto Gino Marchitelli e che abbiamo voluto riportare per condividerla su queste pagine.
E non c’importa che sia attendibile o meno. Quel che riteniamo utile, infatti, non è sapere se in quella grande roccia esista realmente un animale preistorico.
Ci piace pensare, invece, che questa storia, con il suo alone di mistero, per il fatto stesso di averla riportata e condivisa, continua ancora a vivere.
Vera o fantastica che sia.
Rosario Brescia
Le foto sono di Michele Perrone