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Messa in scena per la prima volta nel V secolo a.C., in occasione delle celebrazioni dionisiache del 414 a.C., Gli Uccelli di Aristofane continua ancora oggi ad affascinare gli spettatori e a essere riproposta in scena.
L'ultima, ardita riscrittura è quella della compagnia teatrale di Antonio Orfanò, che di Upupa è regista e interprete principale.
Tema dell'opera è quello della futilità di ogni aspirazione umana all'utopia, rappresentata per Aristofane dalla città ideale di Upupa. Gli uomini, impersonati da Pistetero ed Evelpide, cercano la pace e la serenità nella fondazione di una nuova città ideale, Upupa - situata nel mondo degli uccelli - dove regnino pace, serenità e giustizia, e dove siano osceni il potere, la corruzione, la perversione.
Ben presto però i due protagonisti finiranno per cedere alle stesse lusinghe terrene da cui erano fuggiti, concedendosi ai vecchi richiami della corruzione, del potere, della perversione, e trasformando così l'agognato paradiso celeste in un inferno più che terreno in cui torna ad imperare la sete di potere e dominio.
In Upupa my dream is my rebel king, l'upupa che dà il titolo all'opera scenica non compare sul palco, rimane irrealizzabile: su uno schermo bianco vengono proiettate le molteplici e conflittuali pulsioni umane, individuali e collettive. Conflittuali appunto, tanto che in scena il regista mescola e confonde linguaggi diversi. I livelli stilistici e funzionali della mente (conscio, preconscio, inconscio; immaginario, reale, simbolico; iconico e linguistico, ecc.) sono continuamente rimescolati perché la vita non è uno scopo e non tende a unificare o integrare il soggetto, è invece frutto della pura spinta del desiderio, di una pulsionalità che ci travolge, servendosi di qualunque oggetto pur di raggiungere il proprio fine, cioè il piacere.