I carabinieri di Foggia, hanno eseguito, ieri, un'ordinanza di custodia cautelare in carcere, nei confronti di Giovanni Caterino 38enne e Luigi Palena 48enne accusati di concorso in omicidio e di detenzione delle armi utilizzate nella strage del 9 agosto 2017, quando vennero uccisi il boss Romito, il cognato ed i due fratelli Luciani.
Entrambi dovranno rispondere di detenzione di due armi, un kalashnikov e fucile calibro 12, ed uno dei due di concorso in omicidio, per l'agguato avvenuto nelle campagne di Apricena, dove furono uccisi il boss Mario Luciano Romito e il cognato Matteo De Palma, che erano a bordo di un Maggiolone Volkswagen, ed i due fratelli Aurelio e Luigi Luciani, due agricoltori della zona, vittime innocenti, che sopraggiunsero per pura casualità a bordo di un pick-up bianco.
Le indagini ancora in corso, avviate su più fronti, hanno permesso di dimostrare come il Caterino, nei giorni precedenti all'agguato, avesse studiato le abitudini di Mario Luciano Romito, pedinandolo nel giorno dell'omicidio, per guidare i killer al luogo dove avvenne l'atroce delitto.
Grazie alle immagini di decine di telecamere disseminate lungo il tragitto e grazie alle numerosissime intercettazioni, si è potuto documentare il coinvolgimento diretto del 38enne, nonché il ruolo svolto da Palena per procurare due armi da fuoco, ed il munizionamento, da utilizzare per l'omicidio.
Nel corso di altre indagini condotte sempre della DDA di Bari, era emersa, l'implicazione di Saverio Tucci, detto Faccia d'Angelo manfredoniano, già coinvolto nel processo alla mafia garganica denominato Iscaro Saburo, dove fu condannato per traffico di droga. Due mesi dopo la strage, il 10 ottobre, Tucci è stato ucciso ad Amsterdam da Carlo Magno, un manfredoniano che da anni viveva facendo la spola tra la città olandese e Manfredonia.
Lo stesso Magno, il 12 ottobre 2017, si presentò alla polizia olandese con un avvocato per costituirsi, sostenendo di aver ammazzato Tucci, di cui ha fatto immediatamente trovare il cadavere, occultato in una valigia all'interno di una autovettura. Trasferito in Italia per il processo, Magno ha iniziato una collaborazione di giustizia.
Le indagini hanno permesso di chiarire l'omicidio, questa azione è stata fatta per la ridefinizione degli assetti di potere all’interno della criminalità garganica, per la quale Romito era l'esponente di vertice e, quindi rappresentava un ostacolo.