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Assoluzione con la formula piena («perché il fatto non sussiste») per le due professoresse dell’Ateneo foggiano, Marzia Albenzio e Carmela Robustella, accusate, in modo totalmente infondato, da due docenti della stessa Università, Diego Centonze e Alessandro Del Nobile, di aver affermato il falso nella domanda di partecipazione a due concorsi universitari, nel momento in cui dichiaravano di “non avere un grado di parentela o affinità con un professore appartenente al dipartimento o alla struttura che effettua la chiamata ovvero con il rettore, il direttore generale o un componente del consiglio”, secondo quanto previsto dall’art. 18 l. n. 240/2010. Si chiude così, con ampia assoluzione, una vicenda che restituisce piena legittimità all’operato delle docenti in questione.

Grande soddisfazione è stata espressa dal Rettore, il prof. Pierpaolo Limone: “finalmente si è conclusa una vicenda surreale che ha coinvolto due nostre docenti ingiustamente accusate da alcuni colleghi. Le professoresse meritano la nostra vicinanza perché erano state trascinate in una gogna mediatica senza alcuna ragione. Oggi abbiamo ripristinato la verità con una sentenza chiara e inequivocabile che rinnova la nostra piena fiducia nella magistratura. Si è fatta chiarezza perché il fatto non sussiste e nessun reato è mai stato commesso”.

A dire dei denuncianti, essendo le stesse componenti del cda, non avrebbero potuto partecipare al concorso, poiché l’incandidabilità disposta dalla citata disposizione di legge, ad onta del suo inequivoco tenore letterale, si estenderebbe allo stesso componente del CdA, dovendo costui considerarsi “il parente più stretto di se stesso”. Ebbene, il Pubblico Ministero, il dott. Enrico Infante, ha ritenuto infondata la notitia criminis e ha formulato una richiesta di archiviazione, alla quale, tuttavia, i denuncianti si sono opposti.
Nel respingere la singolare lettura della norma proposta dai denuncianti, il Gip dott. Armando Dello Iacovo ha opportunatamente osservato che, ove la stessa fosse condivisa, si dovrebbe per ciò stesso ammettere un’interpretazione analogica dell’art. 18 della l. n. 240/2020 a cui osta il divieto di analogia in malam partem che costituisce a sua volta un ineludibile corollario del principio di tassatività in materia penale. Le due professoresse, peraltro, non avevano affatto sottaciuto la loro appartenenza al CdA dell’Università di Foggia, avendo espressamente reso quella dichiarazione – benché non richiesta dal bando di partecipazione al concorso – nel curriculum vitae allegato proprio alla domanda di partecipazione al concorso, sicché non sarebbe stato neanche necessario discettare della loro buona fede, essendo l’addebito infondato in radice. Di qui l’assoluzione di entrambe le docenti con la più ampia tra le formule creditorie, pronunciata dal Gip con sentenza del 20.05.2021.


Area Rapporti istituzionali, Relazioni esterne e Ufficio stampa
Università degli Studi di Foggia